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 2010  agosto 02 Lunedì calendario

Così Craxi cancellò il massimalismo cialtrone - Il massimalismo socia­­lista è sempre stato portatore di sciagure nella vita sociale e poli­tica del nostro Paese

Così Craxi cancellò il massimalismo cialtrone - Il massimalismo socia­­lista è sempre stato portatore di sciagure nella vita sociale e poli­tica del nostro Paese. Ebbe un ruolo nefasto nel «biennio rosso» 1919-20, con lo scatenamento di un nu­mero impressionante di scio­peri che paralizzavano i servi­zi essenziali e sconvolgevano la vita civile, con l’occupazio­ne delle fabbriche, con la mi­naccia di una rivoluzione bol­scevica. Un testimone certo non prevenuto come il libera­le Giovanni Amendola affer­mò che era stato un grande merito del fascismo aver ri­sparmiato all’Italia «l’espe­rienza mortale del lenini­smo ». Un ruolo nefasto ebbe altre­sì il massimalismo socialista nel secondo dopoguerra, quando portò il Psi a un com­pleto vassallaggio verso i co­munisti, fino a presentarsi in­sieme al Pci nelle elezioni poli­tiche del 1948, sotto le inse­gne del «Fronte popolare». Questa scelta sciagurata pri­vò la politica italiana di un par­tito socialista democratico, e provocò un tracollo nei con­sensi del Psi: mentre nelle ele­zioni del 1946 esso aveva pre­so più voti del Pci (il 20,7 per cento contro il 19), dopo il «frontismo» il Pci passò in for­te vantaggio (nelle elezioni del 1953 i comunisti presero il 22,6, i socialisti il 12,7). Ma credo che si possa dire che, anche quando il Psi si emancipò dal Pci, e avviò con la Democrazia Cristiana la po­litica di centro­ sinistra, il mas­si­malismo socialista non ven­ne mai meno, e anzi condizio­nò pesantemente quella poli­tica. Che cosa fu la posizione di Riccardo Lombardi - che concepiva le cosiddette «rifor­me di struttura », che il centro­si­nistra avrebbe dovuto realiz­zare, come altrettanti anelli per il «superamento» della so­cietà capitalistica - se non una ripresa del vecchio massimali­smo (che in Lombardi aveva un’ascendenza azionistica)? E non si iscriveva nel solco del massimalismo la politica del segretario socialista France­sco De Martino, che nella pri­ma metà degli anni Settanta ri­portò il proprio partito sotto il tallone comunista, dichiaran­do ch­e i socialisti non sarebbe­ro mai più ritornati al governo senza i comunisti, per realiz­zare «equilibri più avanzati»? E ancora una volta il massima­lismo socialista ottenne quel­lo che aveva già ottenuto con Nenni all’epoca del «fronti­smo »: il disastro elettorale del Psi, calato sotto il 10 per cento (e dunque minacciato nella sua stessa esistenza), mentre il Pci mieteva il suo ennesimo successo elettorale. Credo che occorra tenere ben presente questo quadro per poter apprezzare in tutto il suo coraggio e in tutta la sua forza la politica avviata da Cra­xi alla guida del Psi dal 1976 in poi. Craxi mise la parola fine a questo massimalismo vergo­gnoso e straccione; collocò l’autonomia socialista dal Pci su binari forti e sicuri; indivi­duò nelle socialdemocrazie europee (soprattutto in quel­la tedesca dopo la revisione di Bad Godesberg) un punto di riferimento essenziale; avviò il partito a governare una so­cietà fondata sull’impresa e sul mercato, cioè una società capitalistica. Fu un’impresa di grandissimo rilievo (sia cul­turale che politico), quella di Craxi, come documenta con intelligenza e con dovizia di notizie e di dettagli Bruno Pel­legri­no nel suo libro L’eresia ri­formista. La cultura socialista ai tempi di Craxi ( Guerini e As­sociati, pagg. 236, euro 19,50). Il nuovo segretario sociali­sta promosse un forte attacco alla tradizione politico-cultu­rale comunista. In primo luo­go venne investita la matrice leninista del Pci, e fu mostrata la sua radicale incompatibili­t­à con la democrazia occiden­tale. Poi venne rivolta una cri­tica ampia e circostanziata a Gramsci, contro la pretesa co­munista di fare del pensatore sardo il santino di un marxi­smo italiano, nazionale e de­mocratico: la concezione gramsciana dell’«egemonia» del Pci mostrava chiaramente la sua origine leninista ed era incompatibile col pluralismo politico e culturale. Fu mostra­to poi che il «compromesso storico» proposto da Berlin­guer aveva le sue radici nel to­gliattismo che, per via del suo legame di ferro con l’Urss,ave­va bloccato sempre l’alternan­za nel sistema politico italia­no, impedendone ogni ricam­bio. Fu respinta infine l’idea berlingueriana di una «terza via» fra comunismo sovietico e socialdemocrazia: la via era una sola, ed era quella che si fondava sui valori e sulle rego­le della democrazia liberale occidentale. Questa vasta offensiva poli­tico- culturale venne portata avanti dalla segreteria Craxi con vari strumenti. Fra questi ebbe un ruolo fondamentale la rivista Mondoperaio , che re­gistrò una vasta adesione e collaborazione di intellettuali di prestigio. Craxi (il socialista più odiato dai comunisti e da loro gratificato con epiteti ri­pugnanti) ottenne con ciò un risultato importantissimo: mi­se in crisi l’egemonia cultura­le comunista, già messa a du­ra prova dalle convulsioni e dai disastri che si verificavano nei Paesi del blocco sovietico. Certo, la politica di Craxi eb­be anche un limite, come met­te ben in rilievo Pellegrino: es­sa si arroccò, nella seconda metà degli anni Ottanta, in un’alleanza con la Dc che le impedì di intercettare la sem­pre più grave crisi comunista. Come ha scritto Cicchitto, «gradualmente, dal 1989 in poi, il Psi da partito che combi­nava governabilità e movi­mento diventò un puro e sem­plice partito di governo», e di un governo che si limitava al­la gestione dell’esistente. Il Psi perse così sempre più smalto, e si avviò, opacizzato e ormai sordo ai grandi moti della pubblica opinione, alla tragica bufera di Tangentopo­li.