STEFANO SEMERARO, La Stampa 2/8/2010, pagina 44, 2 agosto 2010
Kgb, spie e corruzione, la verità su Mosca 80 - La Storia ha un modo strano di sorridere. Ora che Occidente e l’ex-Impero del Male hanno ricominciato a giocare pubblicamente a guardie e ladri, scambiandosi ai check-point novelle Mata-Hari più o meno fatali, una mostra organizzata a Mosca dall’archivio federale russo spalanca (parzialmente) i cassetti dove per oltre trent’anni erano rimasti custoditi documenti riservati e imbarazzanti, spesso teneramente imbarazzanti, relativi all’organizzazione dei Giochi del 1980
Kgb, spie e corruzione, la verità su Mosca 80 - La Storia ha un modo strano di sorridere. Ora che Occidente e l’ex-Impero del Male hanno ricominciato a giocare pubblicamente a guardie e ladri, scambiandosi ai check-point novelle Mata-Hari più o meno fatali, una mostra organizzata a Mosca dall’archivio federale russo spalanca (parzialmente) i cassetti dove per oltre trent’anni erano rimasti custoditi documenti riservati e imbarazzanti, spesso teneramente imbarazzanti, relativi all’organizzazione dei Giochi del 1980. Accanto ai poster affollati di stelle e di propaganda molto vintage, ai ninnoli della memoria, ecco spuntare le lettere perplesse e commoventi spedite ad amici e nemici vicini e lontani dall’allora segretario del partito comunista sovietico, Leonid Breznev, uno che sotto il grugno da estremo bulldog dello stalinismo nascondeva una passionaccia per le macchine veloci - ne conservava 50 nel garage, nel ‘68 regalò una Maserati al segretario del Pci Luigi Longo, e la volta che distrusse la sua Silver Shadow su una «prospekt», la Rolls-Royce si presentò istantanea e silenziosa a sostituirgliela. «In qualche modo è successo che abbiamo deciso di fare le Olimpiadi in Urss, e ci costerà una somma colossale - scrive Breznev al suo delfino e futuro successore Cernenko nel 1974, un anno dopo l’assegnazione da parte del Cio -. Mi chiedo se non sia il caso di rinunciare. Alcuni compagni mi hanno detto che esiste la possibilità di farlo, pagando una piccola penale. Oltre a spese colossali ci possono essere scandali di vario tipo che rischiano di screditare l’Urss, e i nostri nemici non mancheranno di sfruttare l’occasione. Vorrei sapere il tuo parere». Cernenko e il Politburo risposero niet, che quell’evento, già inseguito vanamente da Krusciov negli Anni ‘50, s’aveva da fare. Ecco allora di nuovo Breznev, 5 anni più tardi, all’indomani dell’invasione sovietica in Afghanistan che scatenò il boicottaggio degli Usa, pregare il presidente Carter di riconsiderare la decisione. O tentare di blandire il cancelliere della Germania Ovest, Helmut Schmidt, con l’ennesimo presente motoristico, un autarchico fuoristrada Niva: «Schmidt ha una residenza estiva in riva al mare a Kiel, dove le strade non sono molto buone, credo che gradirà il regalo. Anche sua moglie guida, ed è appassionata di piante di palude». Il capo del Kgb Yuri Andropov, altro futuro segretario del Pcus, concordò secernendo orgoglio industrial-nazionale: «La Niva va proprio bene. L’abbiamo regalata a molti capi di Stato e nessuno si è lamentato». La rivoluzione è il Comunismo più la trazione integrale. Altri rapporti esumati dalla mostra, che si intitola «Cinque anelli sotto le stelle del Cremlino» (rimarrà aperta fino al 22 agosto), raccontano delle blandizie riservate al Presidente del Cio Lord Killian per scongiurare lo spostamento dei Giochi, e dei timori che nelle delegazioni straniere, camuffati da «traduttori, medici, stallieri, possano venire inclusi elementi sovversivi», capaci di sobillare «manifestazioni pubbliche durante le gare». Un velocista francese, di cui non è stato rivelato il nome, come ha raccontato all’inaugurazione della mostra Filip Bobkov, generale in pensione del Kgb, in effetti «aveva deciso di rifiutare la medaglia e di fare un discorso politico. Noi incontrammo uno dei capi della sua delegazione per bloccare l’iniziativa. Ma l’atleta non arrivò mai sul podio». I dirigenti sovietici, come i loro colleghi cinesi trent’anni più tardi causa Tibet, temevano che i dissidenti potessero agitare la questione dei diritti dei Tartari di Crimea, e li invitarono con metodi «convincenti» a non farsi vedere in giro; quindi blindarono Mosca al turismo interno. Spedirono masse di ragazzini nelle colonie estive per sottrarli alla contropropaganda degli stranieri, deportarono per un mese prostitute - altri tempi: oggi per gli eventi speciali le escort si importano nei lettòni - mendicanti, criminali e trafficanti assortiti. Per impressionare i visitatori occidentali e convincerli che l’Urss era l’Eldorado dell’uomo nuovo furono invece lucidate le strade e stipate di salume capitalistico, trasgressivo ketchup ed esotici drink di marca (italiana, soprattutto) le botteghe di norma tristemente sfornite della capitale e gli spacci del villaggio olimpico. Nella metropolitana furono diffusi per la prima volta messaggi in inglese, e i moscoviti scoprirono stupefatti l’esistenza dei piatti e delle posate di plastica, persino della birra in lattina. Per confezionare le tute della squadra sovietica venne ingaggiata l’Adidas - e oggi quel design fa ancora tendenza - ma a patto che il marchio non comparisse. La mostra racconta anche la poco edificante e tragi-comica disavventura di Viktor Cizhikov, il creativo che partorì la mascotte dei Giochi, l’orsetto Misha, ma fu tenuto all’oscuro della destinazione del progetto e costretto già nel 1977 a cedere al buio tutti i diritti. Quando Cizhikov si rivolse imbufalito ai suoi committenti di Stato ritendo di essere stato sottopagato, si sentì rispondere che l’autore non era lui, «ma il popolo sovietico». Insomma, furono rudi, ansiose e incomplete - per il boicottaggio - ma anche formidabili, quelle Olimpiadi, per i giovani russi in confusa uscita dalla Guerra Fredda. Anche questa mostra, come gli scoop di Wikileaks, forse ci svela segreti che già intuivamo, ma decisamente meno drammatici, quasi naif, trasfigurati dall’ondata di nostalgia per quell’epoca che da tempo percorre la Russia post-sovietica. Fra i teen-agers di allora c’erano anche i 40-50 enni che oggi affollano la nomenklatura (post?) putiniana, e che preferiscono guardare con una lacrimuccia di commozione alle mitiche Olimpiadi del 1980, piuttosto che ai prossimi Giochi invernali di Soci del 2014. In riva al Mar Nero, in fondo, sarà soprattutto business. Mentre, come ha detto la medaglia d’oro dei 1500 metri, Tatiana Kazankina, a Mosca nel 1980 «per due settimane ci fu il Comunismo». Miracoli dello sport. O inganni della memoria.