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 2010  agosto 02 Lunedì calendario

“La Georgia con la Russia? Mai, il nostro sogno è l’Ue” - L’attraversamento del confine terrestre tra Azerbaijan e Georgia, alla fine della strada mozzafiato (per il panorama dei monti del Caucaso e per lo stile di guida dei conducenti locali) che da Sheki conduce a Signaghi è un’esperienza che merita di essere vissuta

“La Georgia con la Russia? Mai, il nostro sogno è l’Ue” - L’attraversamento del confine terrestre tra Azerbaijan e Georgia, alla fine della strada mozzafiato (per il panorama dei monti del Caucaso e per lo stile di guida dei conducenti locali) che da Sheki conduce a Signaghi è un’esperienza che merita di essere vissuta. Si tratta di un posto di confine malconcio e poco frequentato, in cui un ponte di un centinaio di metri copre la «terra di nessuno» tra i due Paesi. Sul ponte sosta una fila di furgoni e automobili, in attesa che le autorità doganali e la polizia di frontiera assolvano, con una certa rilassatezza, i loro controlli. A ricordarci che nel Caucaso, anche quando sono pacifici, i confini contano ancora. Niente di drammatico, ma neppure niente di certo sull’esito finale. Una sensazione che mi riporta indietro di oltre dieci anni, a un altrettanto sperduto posto di frontiera tra Cambogia e Vietnam, solitamente vietato agli stranieri, in cui i tempi di sosta si dilatavamo all’intera giornata. Qui la cosa fila liscia e rapida, e così in «sole» quattro ore siamo dall’altra parte. Baku, con la sua opulenza un po’ pacchiana, credo la sola città al mondo in cui i pilastri della sopraelevata sono rivestiti di marmo, è lontanissima. Entrare in Georgia significa passare dall’Asia all’Europa percorrendo i cento passi che separano i pennoni delle due bandiere. Contrariamene agli stereotipi e ai luoghi comuni, però, implica anche passare dalla ricchezza alla povertà, nonostante la bellezza e il nitore della cittadina di Signaghi, una cinquantina di chilometri all’interno, al centro della più pregiata zona vinicola georgiana, o la vivacità dei tanti piccoli bar affollati di giovani nella città vecchia di Tbilisi. In luoghi come questi guerra e miseria sembrano lontane; eppure proprio da guerra e miseria la Georgia sta cercando da anni di risollevarsi. Indipendenza dalla Russia e guerra sono un tutt’uno nella sua storia recente. Ancora prima della proclamazione formale dell’indipendenza (aprile 1991), ebbe inizio il conflitto con la regione ribelle dell’Ossezia del Sud (gennaio 1991- giugno 1992) e immediatamente dopo prese avvio quello con l’Abkhazia (luglio 1992- aprile 1994). Entrambi furono disastrosi per la Georgia, e segnarono una delle pochissime «vittorie» militari della Russia di Boris Eltsin, intervenuta a sostegno dei separatisti. Come conseguenza della guerra in Abkhazia, gli abkhazi sono balzati dal 17% della popolazione al 45%, mentre i 250.000 georgiani, che costituivano il 43%, sono quasi completamente sfollati. Analogo destino per i 30.000 georgiani che costituivano la più numerosa (29%) minoranza etnica dell’Ossezia del Sud. La guerra con la Russia dell’agosto 2008 non ha fatto che consolidare questo dato di fatto, rafforzare e rendere esplicita la presenza militare russa nel Caucaso (significativa anche in Armenia) e portare alla «proclamazione dell’indipendenza» da parte delle due repubbliche separatiste, qui ritenute semplici fantocci di Mosca. «Le tensioni tra abkhazi e georgiani sono sempre esistite, come esistono tensioni in tante altre aree multietniche del mondo. Ma, se la Russia non avesse soffiato sul fuoco e poi non fosse intervenuta direttamente, avremmo trovato la strada per evitare la guerra», è l’opinione, largamente condivisa da queste parti, del vicepremier e Ministro per la Reintegrazione (dei territori occupati) Temur Iakohashvili. Sarà, ma quello che è certo è che l’avventato tentativo del presidente Mikhail Saakashvili di riprendere il controllo dell’Ossezia del Sud con la forza ha fornito alla Russia il pretesto che cercava per colpire la Georgia e sfidare l’Occidente, oltre a causare la perdita di fatto dell’intera Abkhazia. «I russi non hanno mai preso sul serio la nostra indipendenza; erano convinti di poter entrare e uscire dalla Georgia come da un ristorante. Solo la reazione della comunità internazionale gli ha impedito di occupare tutto il nostro Paese». Per i georgiani le repubbliche ribelli sono «territori occupati» e il fatto che Hillary Clinton abbia recentemente definito la Russia «potenza occupante» è stato molto apprezzato a Tbilisi. «Vista dall’Europa la Russia appare molto forte, ma vista dall’Asia la prospettiva cambia. È un Paese che sta conoscendo un disastroso calo demografico, tranne che nei territori caucasici: e ciò rappresenterà un problema crescente per il suo equilibrio interno», dice il ministro. Così la piccola Georgia va avanti per la sua strada, decisamente e direi «ostentatamente» filo occidentale: con le bandiere nazionali sempre accompagnate di rigore (e in modo arbitrario) da quelle dell’Unione, Europea, con il suo contributo militare alle forze Isaf nella pericolosa provincia afghana dell’Helmand. Ma sarebbe disposta la Georgia a rinunciare al sogno atlantico e a scegliere una neutralità filo-russa in cambio della fine dell’occupazione? Lo abbiamo chiesto al viceministro degli Esteri Aleksandre Nalbandov e la risposta non poteva essere più netta: «La decisione di aderire alla Nato è stata ratificata con un referendum da oltre il 70% dei nostri cittadini, per cui non è negoziabile, come non lo è la nostra sovranità. Noi ci comportiamo già “come se” fossimo un membro della Nato. Analogamente aspiriamo a divenire un giorno parte dell’Ue». Che quello con l’Abkhazia non rappresenti un conflitto «etnico», lo attestano i numerosi tentativi di riavvicinamento attraverso la società civile, come la possibilità di un incontro tra Joni Apakidze, il rettore dell’Università di Sukhumi, sfollata a Tbilisi con professori e studenti 16 anni fa, e il suo omologo abkhazo per la cui realizzazione proprio l’associazione italiana «Rondine», si sta adoperando. Sarebbe un primo timido segnale che qualche refolo dei «venti di pace sul Caucaso» inizia per davvero a soffiare.