Masolino d’Amico, La Stampa 1/8/2010, pagina 1, 1 agosto 2010
Mia madre e l’infanzia perfetta - Mia madre incominciò a fare il cinema per necessità. Prima era stata una predilezione - i divi americani, le proiezioni con suo padre quando fu direttore artistico della Cines, chiacchierare dei film che giravano i suoi amici e quasi coetanei Mario Soldati e Renato Castellani
Mia madre e l’infanzia perfetta - Mia madre incominciò a fare il cinema per necessità. Prima era stata una predilezione - i divi americani, le proiezioni con suo padre quando fu direttore artistico della Cines, chiacchierare dei film che giravano i suoi amici e quasi coetanei Mario Soldati e Renato Castellani. Poi per un po’ mio padre si era occupato della parte musicale delle pellicole, quando Guido M. Gatti lo chiamò con tale incombenza alla Lux (impiegato all’Eiar, mio padre si era dimesso dopo una promozione, per non indossare la camicia nera obbligatoria per i funzionari). Anche alla Lux restò poco, perché finita la guerra fu colpito da una tubercolosi contratta in Africa e peggiorata durante la vita clandestina sotto l’occupazione tedesca, quando dirigeva alla macchia il giornale cattocomunista «Voce operaia». Prima di sposarsi la mamma era stata impiegata al Ministero del Commercio Estero, ma aveva smesso per dedicarsi alla famiglia. Ora non voleva aiuti dai suoceri borghesi, dunque accettò volentieri l’offerta di Castellani, di lavorare a un copione con due esordienti, Moravia e Flaiano. Quel film non si fece mai, ma lei scoprì che l’attività le era congeniale. Oltre alla fantasia aveva infatti due atout, era una lettrice appassionata (e sapeva l’inglese, cosa allora non comune) e sapeva scrivere a macchina come una dattilografa. Buon senso e ironia furono apprezzatissimi così come, in quel mondo di uomini spesso scapoli, la possibilità che offriva di una stanza con poltrone dove chiacchierare all’infinito in attesa delle idee. Gli sceneggiatori erano giovani, allegri, entusiasti come ragazzini che marinano la scuola. Tra i molti debiti che ho con mia madre il maggiore è forse questo, un’infanzia perfettamente felice. Non perché fossimo ricchi (non conoscevamo nessuno che possedesse un’auto; lo stesso De Sica ai tempi di Ladri di biciclette teneva fisso un semplice taxi, che talvolta ci accompagnava dai nonni) o perché venissimo curati in maniera speciale - per noi scuole pubbliche, giardinetti polverosi, una malattia infettiva l’anno. Ma perché vivevamo in una casa frequentata da adulti non solo sempre di buon umore, ma disponibilissimi a darci retta: grati di avere un pretesto per interrompere quel lavoro che sembrava un gioco, giocavano volentieri con noi. Così come alcuni associano a un senso di benessere rumori come quello del mare, o magari di una pioggerella mite, io derivo un senso infinito di pace, protezione e benessere da quello del picchiettìo dei tasti di una macchina da scrivere nella stanza accanto, a volte protratto per tutta la notte.