MARCO ALFIERI, La Stampa 1/8/2010, pagina 23, 1 agosto 2010
Così l’arcipelago coop ha dribblato la grande crisi - Tutte le sere ci fermiamo in officina per una partita a calciobalilla
Così l’arcipelago coop ha dribblato la grande crisi - Tutte le sere ci fermiamo in officina per una partita a calciobalilla. Chi perde versa un euro. Il ricavato serve a mantenere Elmut, il cane della cooperativa», dice Nicola Bacchiega, vispo 32enne con la politica nel sangue. Consigliere Pdl a Ostiglia con tessera LegaCoop. Lo sapesse Berlusconi… La Coop Esi di cui è presidente è un caso innovativo di successione d’impresa nel bel mezzo del distretto delle giostre tra mantovano e rodigino (Ostiglia-Melara-Bergentino), dove escono gli ottovolanti per i Luna Park di mezzo mondo. Fondata dai genitori nel 1997 come Srl, alla pensione anziché tramandarla al figlio, decidono di trasformarla in cooperativa. Correva il 2008 e alla famiglia Bacchiega sembra la formula giusta per blindare investimenti e posti di lavoro. Dopo 2 anni Coop Esi conta 63 lavoratori e un fatturato in crescita dai 2,1 milioni 2009 al +30% del 1° semestre 2010, grazie al know how nel montaggio di torri di raffreddamento, attracchi fluviali, generazione di energia e filiera delle giostre, «dove ci occupiamo della parte metallica». Insomma stereotipi che s’infrangono tra politica, crisi e territorio. Mentre le grandi Coop nel fortino tosco-emiliano sono al centro di furibonde guerre di mercato con Esselunga e di j’accuse sugli incesti politici in salsa Pd, sopra il Po molte Pmi cooperative sono uscite dalla recessione meglio delle imprese tradizionali. E in cima alla classifica c’è proprio la Lombardia forzaleghista, con 100 nuove coop (il 26% del totale) nel 1° trimestre 2010. Meno supermercati che in Emilia ma più capitalismo diffuso. In Val Cavallina la coop l’Innesto di Trescore Balneario (Bergamo) nasce per recuperare strutture rurali e avviare al lavoro i disabili. Col progetto aprono agriturismi e un parco dove le scuole fanno attività didattica. L’Innesto diventa anche punto di riferimento per il Consorzio dei 21 comuni di valle, che le affida la raccolta rifiuti e la pulizia strade. In tempo di tagli ai bilanci pubblici è la mutualità a garantire i servizi essenziali, per la gioia dei sindaci valcavallini (molti leghisti). Nel frattempo la coop fattura 4 milioni, da lavoro a 80 persone ed è capofila di un progetto regionale da 3,2 milioni per il recupero di un comprensorio ricco ma a rischio desertificazione di servizi commerciali e di prossimità. «L’obiettivo è di estendere la mutualità anche al ciclo integrato delle acque, facendo diventare persone e imprese titolari e controllori del servizio», spiega Luca Bernareggi, presidente di LegaCoop Lombardia. Sulla scia del governo inglese di David Cameron, che sta lavorando a un piano di riforma dei servizi locali centrato sul settore cooperativo. Una settantina di chilometri da Trescore, a Botticino, periferia ingolfata di Brescia, gli operai cavatori del marmo tra poco festeggiano gli 80 anni. Una storia nata nel 1932 da una piega del contratto di affidamento delle cave del botticino classico alla Lombardi, la multinazionale dell’epoca con uffici a New York e Tokyo. Un monopolio scalfito da una piccola enclave estrattiva che il comune riserva a una coop locale. Cinquant’anni dopo, nel 1982, i cavatori ottengono la concessione di tre unità di cava coprendo via via l’intero ciclo del marmo. «Dall’estrazione alla lavorazione delle marmette, dalle lastre ai servizi post vendita odierni», ragiona il presidente Mario Rossi, una vaga somiglianza con Riccardo Illy. Oggi solo la metà dei 50 addetti/soci è impiegato in cava: un lavoro epico nonostante i moderni escavatori per una produzione di oltre 40mila tonnellate l’anno. In estate, dopo Mezzogiorno, il riverbero del sole sui bancali bianco smalto è così forte che ti acceca. Non puoi che mollare l’estrazione e scendere a valle. Il resto del personale lavora nel completamento del ciclo produttivo sempre più per i mercati esteri, dove il botticino è una specie di star: sono made in Brescia la Grand Central Station di New York, alcuni alberghi Hilton e Sheraton e i nuovi magazzini moscoviti sulla new Arbat Street. Lo sbarco in Cina a Xiamen, nella jv Marco Polo con la Ghirardi di Carpenedolo e la Valverde, è invece del 2008. Nel frattempo «sono tornati i coreani ed è ripartito il Golfo persico, in cui esportiamo in consorzio con un gruppo di Carrara», prosegue Rossi. Ecco la mappa post crisi di una coop internazionalizzata che fattura 6 milioni. Dal marmo alla meccanica, nella piccola Pontevico incastrata tra i tondini bresciani e l’agricoltura cremonese, quella della Coop Scalvenzi è una storia di operaismo fattosi capitalismo di territorio. In principio fu la Officine Fratelli Scalvenzi: rimorchi agricoli, spandiletame e carri botti. All’apice, a metà dei ‘70, arriva ad occupare 130 operai in un paesino di 6mila anime che entra in crisi con la seconda meccanizzazione delle campagne. Il risveglio è tragico: a inizio anni ‘80 uno dei tre soci si suicida, l’azienda va in liquidazione finché 20 operai decidono di rilevarla. Il Tfr diventa capitale sociale ma ci vogliono 584 giorni di occupazione per sbloccare il ciclo produttivo. La svolta nel ‘95: i soci diversificano acquistando Tecneco, azienda che fa contenitori rifiuti. L’ambiente diventa core per i 50 soci che oggi producono vasche per la compattazione e hanno appena realizzato un mezzo mono operatore per lo smaltimento urbano, con un braccio che compatta i rifiuti senza bisogno dell’omino per il porta a porta. Tutto si manovra con un joystick. Azienda giovane, tanti orecchini che girano per l’ufficio tecnico, un senegalese, due romeni e un serbo appena diventati soci. «Siamo una vera coop», dice orgoglioso Diego, incarnazione del nuovo operaio-manager centauro tra officina e tavolo ovale. Non senza contraddizioni di chi è cresciuto in fretta. «Siamo passati da 200 a 300 compattatori a personale invariato», spiega l’ad, Aldo Montagnini. «Il mercato post crisi chiede decisioni rapide», frustando l’eterno dilemma tra governance assembleare e potere esecutivo. Insomma vai sul territorio, lontano da guerre tra big, e trovi innovazione dal basso, ex fornitori che impongono nuovi prodotti, compartecipazione aziendale ben oltre il feticcio della cogestione, un’internazionalizzazione via consorzi, ricambio generazionale, e un rapporto diverso con la politica. «La stagione del collateralismo, il socialismo più la ricchezza, è finita», ti dicono i cooperatori. Ma più in Lombardia che sulla via Emilia…