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 2010  agosto 01 Domenica calendario

Intervista a Gianni Agosti - Professore cosa l’ha spinta a interessarsi a Mantova, ad Andrea Mantegna e a curare una grande mostra su di lui nel 2009 al Louvre di Parigi? «Ho lavorato in Soprintendenza a Mantova dal 1989 al 1993

Intervista a Gianni Agosti - Professore cosa l’ha spinta a interessarsi a Mantova, ad Andrea Mantegna e a curare una grande mostra su di lui nel 2009 al Louvre di Parigi? «Ho lavorato in Soprintendenza a Mantova dal 1989 al 1993. A neanche 30 anni desideravo scappare a causa di un senso di vertigine, come quello descritto da Arbasino in “Fratelli d’Italia”». L’occasione venne dopo l’attentato agli Uffizi del 1993. Fui trasferito lì e così cominciai a ricordare il luogo precedente. Quella sorta di nostalgia è l’origine del mio interesse per Mantegna». Un grande artista per lei? «Per capirlo, ho cercato di indagare la sua fortuna storica attraverso i secoli: è stato collezionato, indagato, visto e copiato. Tutto questo, perché non ci possiamo permettere uno sguardo ingenuo sulle cose». In che senso dice questo? «Fare i conti con la tradizione storiografica di un problema è stata a lungo una caratteristica della migliore cultura italiana. Ora non usa più, ma continuo a credere che ricostruire la vicenda critica di un artista sia necessario per affrontarlo». Nell’arte esiste la moda? «Credo che in questo senso una delle posizioni più avanzate sia quella di Francis Haskell: i suoi libri, penso soprattutto a “Riscoperte nell’arte” hanno impostato una storia del gusto come elemento cruciale della storia dell’arte. Ho cercato di fare entrare in collisione il suo modello storiografico con quello di Pierre Bourdieu, che si è occupato della critica sociale del gusto». Oggi la moda per esempio è Caravaggio? «Certo, ma i rivolgimenti nella storia del gusto hanno dei responsabili. Per Caravaggio, si tratta del più grande storico dell’arte del Novecento: Roberto Longhi. Senza la sua tesi di laurea del 1910 a Torino non ci sarebbe stato tanto bailame intorno Caravaggio. Anche se non credo che un Longhi vivo apprezzerebbe tutto quel che è seguito alla sua opera in questa direzione. Ma poi pensiamo pure al caso di Proust, che divenne fanatico di Vermeer perché non dipingeva quadri sacri». Con la stessa logica, lei è il padre di Mantegna? «Non ha certo bisogno di me. E’ un artista che non ha conosciuto eclissi, perché ogni epoca ha cercato un Mantegna diverso: quello che interessava a Mussolini non era lo stesso che interessava a David; quello che piaceva a Proust non era lo stesso citato da Ariosto». Lega spesso arte e letteratura? «La descrizione di quadri di Elstir fatta da Proust nella “Recherche” continua ad essere la pagina migliore per capire Monet e poi la riflessione tra vero e verosimile di Manzoni in vista de “I promessi sposi” è un punto costante del mio modo di lavorare. Mi riferisco all’esigenza di ricostruire con una plausibile immaginazione storica il passato». Adesso che progetti ha? «Sto preparando per l’autunno insieme a Jacopo Stoppa e Marco Stazi una mostra a Rancate, in Canton Ticino, per mettere appunto alcune di queste riflessioni coinvolgendo molti studenti che si sono laureati con me». Cosa insegna esattamente? «Storia dell’arte moderna all’Università Statale di Milano con circa 250 studenti in aula e i problemi che ne conseguono. Cerco di coinvolgerli in tanti progetti, nonostante la realtà». Perché la realtà qual è? «La mancanza di posti, l’assenza di lavoro, la dequalificazione dell’insegnamento, gli incarichi didattici ridotti in modo oppressivo e anche l’abbandono della serietà». Si sta preparando anche per una grande mostra di Giulio Romano tra Palazzo Te, Palazzo Ducale e altri luoghi di Mantova? «Mi piacerebbe fare una mostra con una grande potenzialità di coinvolgimento delle persone, dove il vigore del progetto non giochi contro l’intensità delle emozioni. Delle grandi scene di massa, intensamente spettacolari, potranno stare accanto a momenti di riflessione specialistica. Una mostra che si può vedere in due ore o in due giorni secondo le curiosità, i livelli di cultura e le passioni dei visitatori. Anche l’occasione per capire quanto oggi sia ancora condiviso quell’insieme di mitologia, storia antica e religione, allora comune tra Romano e i suoi committenti e spettatori. Bisogna conoscere la storia di Psiche, i nomi degli imperatori romani, gli episodi dell’Iliade, per capirlo a fondo». Come definisce il suo lavoro? «Sono un insegnante». E tutte le mostre e i libri? «Sono per arrivare a un chiarimento delle mie ragioni espressive. Per capire perché Mantegna mi turba o perché Giovanni Bellini mi commuove. E qualche volta pure viceversa». Cosa pensa dei musei e delle mostre italiane? «Che ci vorrebbe più igiene e più etica. Bisognerebbe ricominciare a leggere Pasolini. E impegnarsi a fare tutti bene il proprio lavoro».