Elena Molinari, Avvenire 31/7/2010, 31 luglio 2010
ISLAM CHE CHIUDE
Guardi su e giù per la strada e vedi tre uomini con barba lunga e tunica color crema alle ginocchia, un gruppo di donne in burqua e, attorno a loro, una manciata di bambini con bianchi kufi di tela in testa. Nessun altro. Poi l’occhio s’imbatte nella moschea. È un semplice edificio quadrato e bianco, fra l’industriale e il residenziale: sfuggirebbe allo sguardo se non fosse per la vistosa cupola dorata. E le due guardie di sicurezza all’entrata. Sembrano non fare caso ai passanti, ma quando notano l’obiettivo di una macchina fotografica si avvicinano e cortesemente invitano a metterla via: «La moschea non è aperta ai turisti», spiegano. Di fronte al centro islamico, che comprende la moschea e un edificio limitrofo, è parcheggiato un furgone con la scritta «Scopri Gesù nel Corano».
Bellevue è un sobborgo di Seattle, un sobborgo benestante: quest’anno la rivista Money e la Cnn l’hanno votata quarta nella classifica delle città con la più alta qualità della vita negli Usa. Qui abitano i professionisti specializzati della Microsoft, che sta a 10 chilometri di distanza, e delle società di tecnologia spuntate alla sua ombra, da Expedia al gigante della telefonia T-Mobile. Le facce che si vedono nel centro commerciale dominato dalle vetrine di Louis Vuitton e Hermes o nelle auto dirette alle villette sul lungolago sono quasi tutte bianche, con una piccola percentuale di asiatici. Per incontrare gli unici volti scuri della città, bisogna voltare sul viale alberato di Main Street, e proseguire per un paio di chilometri, fino all’Eastside Islamic Center, che funge da luogo di preghiera, scuola e centro di ritrovo per la crescente comunità musulmana della città. Una comunità orgogliosa degli invisibili muri che ha eretto attorno a sé e che ogni anno cresce grazie agli immigrati pachistani, yemeniti e somali che vi trovano rifugio. Il numero di musulmani nell’area metropolitana di Seattle è passato negli ultimi due anni da 40mila a circa 75mila.
Secondo Nazeer Ahmed, direttore del Northwest Islamic Journal, il 90 per cento dei musulmani della zona sono immigrati da Paesi a maggioranza musulmana negli ultimi cinque anni. Si capisce allora perché il centro, che qualche mese fa ha presentato al municipio di Bellevue un progetto di espansione, ha bisogno di spazio. E i suoi piani lasciano presumere che la popolazione islamica dell’area sia destinata a raddoppiare. Nei disegni originari, la nuova moschea doveva occupare 1.800 metri quadrati di edificio e due ettari di terreno, con un parcheggio da quasi 200 posti.
Dopo che la normalmente tollerante comunità di Bellevue ha sollevato le sue obiezioni, i metri quadri sono scesi a 1500 e i parcheggi si sono dimezzati. È il secondo allargamento che il centro islamico intraprende, dopo quello del 2002, a esattamente dieci anni dalla sua fondazione.
Nel frattempo, dieci minuti di auto più a Nord, il centro Islamico di Redmond ha acquistato un magazzino e un ettaro di terra, su cui sta costruendo una moschea e una nuova scuola. Mentre Medina Academy, dove la maggior parte dei musulmani di Redmond manda a studiare i propri figli, a settembre aprirà cinque classi in più all’interno di una palazzina recentemente acquistata. «È il vero inizio dell’espansione della comunità musulmana in quest’area», spiega con orgoglio Amro Youseef, responsabile della raccolta fondi del Centro Islamico di Eastside. «Quello che si sta verificando a Bellevue – continua – è la creazione di una comunità come non ne esistono negli Usa: musulmana nella sua totalità, nelle sue componenti sociali, economiche e politiche». Sono frasi come queste, ancora di più del progetto della moschea, a lasciare perplessi alcuni dei residenti non islamici, che il mese scorso hanno affollato un’audizione pubblica per dire no all’espansione del centro. Durante la serata, molti abitanti di Bellevue hanno limitato i loro commenti ai problemi di affollamento e di rumore in un’area residenziale. Ma alla fine, in privato, sono emerse anche altre preoccupazioni. «Non capisco perché vengono in questo Paese se non sono disposti a integrarsi – ha detto Kathrin Cello, 45 anni – vedo sempre più burqa e mi chiedo perché non fanno un sforzo di adattarsi alle consuetudini locali». «E io vorrei sapere da dove vengano i soldi dietro una così rapida e sostanziale crescita di strutture e programmi», le fa eco David Choy, programmatore di 34 anni, ricordando che in giugno la moschea di Bellevue ha annunciato di aver raccolto 525mila dollari in una settimana.
Choy e altri non dimenticano il documento del 2006 con cui il dipartimento alla Giustizia americano aveva indicato l’area di Seattle come una zona di reclutamento della Jamaat ul-Fuqra, un gruppo terroristico pachistano impegnato nell’infiltrazione di cellule terroristiche all’interno degli Stati Uniti e considerato responsabile dell’uccisione del giornalista del
Wall Street Journal Daniel Pearl. È lo stesso isolamento dei musulmani di Bellevue a creare sospetti, insiste Cello. Secondo i dati del centro islamico stesso, più di 50 famiglie della sua comunità vivono in un raggio di 150 metri dalla moschea, altre 300 nel raggio di un chilometro. La loro scuola insegna in arabo e urdu e non accetta studenti non musulmani.
Ha dunque stupito relativamente poco che, in una zona fra le più liberal e istruite d’America, un paio di mesi fa il furgone della moschea con la scritta «Scopri Gesù nel Corano» sia stato coperto di feci proprio davanti al Centro Islamico. Un gesto estremo, che la polizia locale spera non sfoci in episodi di violenza, ma che per Youseef giustifica il desiderio dei suoi correligionari di non aprirsi al resto della città. «I musulmani sono stati e saranno sempre separati dalle comunità non islamiche – dice – vivere in America non ci impone di assimilare la cultura locale».
Questo non significa però che il centro non si preoccupi di mantenere regolari contatti con l’amministrazione locale, spiega Claudia Balducci, assessore della cittadina con la delega alle scuole e alle politiche giovanili. «Ricevo dall’Islamic Center frequenti richieste, alcune delle quali non ho potuto accettare», spiega. Poi elenca: «Costruire una palestra comunale solo per le ragazze o istituire ore di nuoto femminili e ore maschili in piscina...».