Vittorio Grevi, Corriere della Sera 2/8/2010, 2 agosto 2010
VIOLENZA SESSUALE E DETENZIONE - LA SCELTA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Ha destato un certo scalpore, nei giorni scorsi, la sentenza con cui la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la disposizione che aveva esteso anche ai procedimenti per alcuni delitti in materia di violenza sessuale e di prostituzione minorile il meccanismo diretto ad imporre, senza possibilità di altra scelta, la applicazione della custodia cautelare in carcere a carico degli imputati raggiunti da gravi indizi di colpevolezza. Originariamente previsto per i soli delitti di associazione mafiosa (ed entro questi limiti già «salvato» dalla medesima Corte, alla luce della peculiare natura della criminalità di mafia), un tale meccanismo di tenore presuntivo è sempre stato criticato dagli studiosi a causa della sua rigidezza, che non consente al giudice di adeguare la misura cautelare alle esigenze del caso singolo. E se una simile presunzione assoluta di necessarietà della misura carceraria può giustificarsi, sotto il profilo della ragionevolezza, quando si proceda per un delitto di criminalità organizzata, lo stesso non può dirsi quando si proceda per un delitto comune, per quanto grave, come sono i suddetti delitti sessuali.
Per questo appare corretta la recente sentenza costituzionale, la quale si è limitata a stabilire che, in ipotesi del genere, la custodia carceraria debba bensì essere applicata, a meno che le esigenze cautelari accertate in concreto non possano venire fronteggiate mediante misure di altro tipo. Ciò non significa che d’ora in poi il carcere preventivo sia escluso per gli imputati dei delitti in questione. Al contrario, tali imputati di regola continueranno ad essere custoditi in carcere: soprattutto nei casi più gravi, in attesa della sentenza definitiva, che sola potrà semmai applicare la detenzione come pena. Tuttavia questa regola potrà subire una eccezione allorché il giudice si convinca — sulla base di elementi specifici — che il carcere possa essere sostituito da una misura meno afflittiva, purché altrettanto idonea sul terreno delle finalità cautelari (a cominciare dalla esigenza di evitare la commissione di delitti della stessa specie). Il carcere, dunque, non sarà certo vietato, ma dovrà essere applicato — come giusto — secondo un criterio di stretta necessità.