Elvira Serra, Corriere della Sera 2/8/2010, 2 agosto 2010
FACCHINETTI: IL MIO MALE È LA SOLITUDINE
Ci scherza e la chiama «la mia malattia». E non pensa alla dislessia, che pure gli crea più di un intoppo quando c’è da leggere copione, gobbo e scaletta. La «malattia» di Francesco Facchinetti, inesorabilmente figlio di Roby dei Pooh, trentenne brillante e irrefrenabile che si è guadagnato con scatti da centometrista un posto al sole su Rai Due, dove dal 9 settembre ricondurrà X-Factor, è di non poter stare da solo. Come stamattina, per esempio, che ha buttato giù dal letto il povero Eugenio, l’assistente calabrese che ha adottato nel 2003 («quando pesava dieci chili bagnati ed era il mio primo fan, adesso vive con me nella casa-comune»), per raccontargli le idee raccolte nella notte. «Devo sempre riempire lo spazio, ho l’ansia del vuoto, di sentirmi inutile, per me e per gli altri. A casa mia il divano non esiste, ci sono il letto, il computer per lavorare e i videogiochi per giocare. Il relax non è contemplato. La vacanza? Il momento più triste dell’anno, divento pazzo. Sono un metodico. Guardandomi, con tutti questi tatuaggi, uno può dire il contrario. E invece ho bisogno di programmare tutto quello che faccio, dal mattino alla sera. Sabato e domenica, che non lavoro, sono i giorni più brutti della settimana. Il più bello? Lunedì, che ricomincio. Le feste comandate? Una violenza. Del resto sono per metà brianzolo, per metà bergamasco, il massimo dello stakanovista. E poi i miei maestri, da mio padre a Cecchetto, mi hanno insegnato che è normale lavorare sempre». Il deejay che non ti aspetti parla a raffica seduto a un tavolo di Giannino, il ristorante vicino ala stazione Centrale di Milano dove è di casa. Maglietta di Star Wars, barba corta ben curata, gli occhi, azzurrissimi, marchio di fabbrica Facchinetti. Con lui c’è la sorella Valentina. È venuto qui per parlare del suo lato B, «il pagliaccio che piange». Francesco e le sue paure. Sul palco. «La paura più grande è il vuoto pneumatico, non ricordare più niente, non sapere più che cosa devo dire. Finora ho cercato di costruire quello che sono senza lasciare nulla al caso, rubando qua e là ai grandi presentatori: a Gerry Scotti i toni misurati, a Bonolis l’occhio alla telecamera, alla De Filippi l’assenza di presenza scenica, a Simona (Ventura, ndr) l’istintività, a Fiorello l’improvvisazione. I miei slogan sono una sorta di armatura: il famoso "Perché la musica batte sul 2" è sì uno stacco per la pubblicità, ma è nato per coprire il mio panico e la mia timidezza davanti alla telecamera: e adesso cosa dico? Mi è venuto così». In famiglia. «L’idea di perdere mio padre o mia madre o i miei fratelli è inaccettabile, piuttosto vorrei scomparire io. Ho tre sorelle e un fratello, sono loro, con i miei genitori, la cosa più importante. Purtroppo alla morte non puoi abituarti. È un dolore che ho già provato quando ho perso mio zio Renato, a sei anni: ricordo ancora il profumo nella stanza e il colore del copriletto quando mia madre venne a dirmelo, eravamo in Sardegna. Lo stesso sgomento di quando morì il mio amico Andrea, a 14 anni, per un tumore fulminante. La fede in questo ti può aiutare: Andrea e lo zio Renato li sento sempre vicini, davvero, so che mi proteggono». Il suo cuore. «Il mio sogno di felicità è una moglie e dei figli con cui passare il resto della vita. Ma mi sembra poco realistico, le persone non riescono più a stare insieme. Dovrei capirlo, perché è successo anche a me, però non riesco ad accettarlo. E non lo dico con risentimento. La mia foto di famiglia è questa, niente di diverso da come è, va bene così. Ma non so davvero se questo mi ha talmente sconvolto che fingo il contrario». Un’idea se l’è fatta, e lo ha turbato. «Ho avuto una relazione con una donna che aveva una figlia. Una sera, a letto con loro, guardandole tutte e due ho capito: sai che con una donna può finire; con tuo figlio mai. Quando i due sentimenti convivono, allora sei sopraffatto». Teme, infine, che il lavoro che ha scelto lo porti a non sentire più niente, a diventare insensibile, a non essere più rispettoso. Di diventare un po’ come il re dell’asteroide 325 del Piccolo Principe di Saint-Exupéry. «Governa nel suo universo, ma è completamente solo. Ecco, a volte ho la sensazione di aver costruito qualcosa che mi lascerà sempre più solo. Forse per questo vivo ancora con i miei amici, a Mariano Comense, nella nostra "comune", dove c’è un continuo via vai di persone. Perché loro rappresentano le mie certezze, mi vogliono bene da sempre, se faccio una cavolata me lo dicono. Sono l’antitesi dello "yes man". Con loro resto con i piedi per terra».