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 2010  luglio 31 Sabato calendario

PERCHE’ È COSI’ DIFFICILE FARE LA GUERRA ALLA DROGA


Come volontaria vado in carcere per i colloqui con i detenuti alcune sere ogni settimana. A parte le condizioni disumane in cui vivono, molti di loro sono in cella per spaccio di stupefacenti, anche di modica quantità. C’è vera repressione su questo reato, spesso le pene comminate sono altissime, anche per dosi non eccessive, soprattutto se confrontate con quelle previste per l’omicidio e altri reati gravi. Eppure il traffico continua e non passa giorno in cui altri arrestati per lo stesso motivo vadano a riempire le carceri già sature. La mia impressione è che si tratta di una guerra persa e che forse l’approccio della tolleranza zero non è più funzionale alla nostra società dove la domanda di stupefacenti è in continuo aumento e per i giovani «farsi» è la regola e non più una trasgressione né un reato.
Marianna Carrisi

Cara Signora,
In quasi tutti i maggiori Paesi occidentali la guerra contro la droga è stata fatta con leggi che proibiscono lo spaccio e il consumo. In alcuni casi, soprattutto agli inizi, spaccio e consumo sono stati puniti con la stessa severità. Poi, nella maggior parte delle democrazie, ha finito per prevalere la convinzione che i consumatori (spesso appartenenti alle stesse fasce sociali della classe dirigente) fossero vittime da salvare, malati da guarire, «devianti» da rimettere sulla retta via.

Quanto più i governi davano prova di comprensione per i consumatori, tanto più venivano inasprite le leggi e le misure di polizia contro gli spacciatori. Vi sono alcune differenze tra i partiti di sinistra e quelli di destra, ma il quadro, per grandi linee, è questo. Vi sono poi le posizioni di coloro per cui la miglior politica contro le droghe forti è quella che legalizza le droghe leggere, e vi sono le proposte di gruppi meno numerosi, liberali e radicali, per cui occorrerebbe legalizzare tutte le droghe, ma cercare al tempo stesso di vigilare sulla vendita e sul consumo. Qualche esperimento in queste direzioni è stato fatto ad Amsterdam e a Zurigo. Ma le due città sono state sommerse da una folla di stranieri, tutti alla ricerca di ciò che era proibito nel Paese da cui provenivano.


La liberalizzazione di alcune droghe potrebbe essere, in ultima analisi, la più realistica delle soluzioni possibili. Ma funzionerebbe probabilmente soltanto se estesa a una larga area geografica. Assisteremmo altrimenti a ciò che accadeva negli Stati Uniti quando il proibizionismo a macchia di leopardo creava correnti di traffico clandestino e di turismo alcolico fra gli Stati «bagnati» e gli Stati «asciutti». Persino in epoca sovietica Leningrado era animata, durante il fine settimana, da turisti scandinavi che non avevano altro scopo fuor che quello di ubriacarsi.

Anch’io, cara signora, credo che la battaglia contro la droga, nelle forme in cui è stata combattuta sinora, debba cons i derarsi perduta. I pi c c ol i spacciatori sono spesso immigrati clandestini o consumatori poveri che i trafficanti possono rimpiazzare senza troppe difficoltà. Le prospettive di guadagno sono tali da compensare tutti i rischi. La domanda sembra essere in costante aumento. Gli operatori possono contare sulla complicità delle popolazioni nelle zone di produzione e sugli appoggi di uomini politici corrotti e venali. Suppongo che molti governi lo sappiano, ma siano al tempo stesso convinti che la politica del rigore interpreti ancora, almeno per il momento, i sentimenti della maggioranza della pubblica opinione. Cominceranno a studiare politiche diverse, in altre parole, soltanto quando avranno l’impressione di poterlo fare senza incorrere nella rabbia dei loro elettori.