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 2010  luglio 31 Sabato calendario

SALINGER IN CASA. LA FOTO PIU’ PRIVATA


«Ammazzare il tempo». È la mia frase fatta preferita. Forse perché è una delle poche in cui il senso letterale si specchia limpidamente in quello figurato. Forse perché esprime come meglio non si potrebbe la beffarda battaglia ingaggiata da ogni essere pensante contro la screpolata entità che chiamiamo tempo. O forse perché dà conto in modo spiritoso dell’inutile affanno umano: alla fine, infatti, è sempre lui, il tempo, ad avere la meglio; è lui che ti ammazza.
Certo è che si tratta della miglior definizione che si possa dare della vita di uno scrittore. Uno scrittore serio passa la vita ad ammazzare il tempo. Il grande Philip Larkin all’incauto intervistatore che gli chiedeva come ammazzasse le sue giornate rispose: «Suppongo che cerchiamo tutti di non accorgerci del tempo che passa».

È al tempo e al suo assassinio mancato che penso guardando questa suggestiva foto di Jerome David Salinger. Sembra che lo ritragga quasi cinquantenne nella sua stanza da letto, nella mitica (l’aggettivo è appropriato) dimora di Cornish, quella in cui a un certo punto e da lì per sempre decise di ritirarsi. Nel New England: boschi bellissimi e misteriosi che favoriscono la concentrazione; non a caso domicilio prediletto dei grandi reclusi della letteratura americana: Melville, Hawthorne, Emily Dickinson, Malamud, Stephen King...

Non so se a voi fa la stessa impressione, ma è proprio così che te la immagini, la stanza di Salinger: la nevrotica penombra azzurrina, le pareti scrostate, il letto sfatto, il puzzo di umido.
L’altra cosa che colpisce è la forma fisica, quasi adolescenziale, di Salinger; i capelli ancora neri, l’acconciatura tattica, e quel modo di vestire anacronistico: da colletto bianco anni 50 (sebbene la foto sia del ’68).

Gli anni 50 per l’appunto. Sono quegli gli anni di Salinger. Gli anni che Salinger ha saputo eternare. Gli anni di Eisenhower, del rock’n’roll e del maccartismo. Il glorioso dopoguerra di un giovane ebreo che aveva avuto l’orrendo privilegio di essere tra i primi soldati americani a entrare, da liberatore, in un campo di sterminio nazista toccando con mano la sorte di molti suoi correligionari.

Franny e Zooey è il miglior libro di Salinger. Non lo dico per snobismo ma perché è vero. Non ho nulla contro Il giovane Holden. Ma i primi capitoli della saga dei Glass — da quel che ne sappiamo mai portata a termine — sono il culmine dell’opera salingeriana (di quella edita almeno): una felicità e un nitore quasi insostenibile.

La scena iniziale che vede Franny (splendido esemplare di matricola universitaria pallida e volubile) scendere dal treno e, avvolta nella sua «pelliccia di orsetto rasato», cercare con gli occhi Lane, il suo boyfriend, è di una vividezza impareggiabile. Degna di Frank Capra. Così come è impressionante la precisione con cui Salinger riesce a intrufolarsi nelle pieghe del carattere di questa ragazzina troppo bella e troppo intelligente per non essere capricciosa. «Certe volte era duro per Franny nascondere il proprio fastidio per l’inettitudine caratteristica della razza maschile e di Lane in particolare». Non è una frase splendida? Non è una frase eterna? Una frase che dice tutto quello che c’è da dire sulle Franny di tutto il mondo? Da lì in poi, fino a un improvviso svenimento, non c’è gesto che non mostri con esattezza flaubertiana il carattere lunatico di Franny e la sua insofferenza piena di irascibilità: i Martini sorseggiati, la cenere di sigaretta modellata con le dita nel posacenere, la stizzita inappetenza.

Ecco il mondo di Salinger. Quello in cui a un certo punto è rimasto imprigionato. Quello che non avrebbe voluto perdere per niente al mondo: quei college, quell’America tribale e privilegiata, quel senso di ribellione che non ha scoperto ancora la volgarità della rivoluzione, quegli autunni, quelle ragazze incantevoli.

Mi chiedo se non sia questo il segreto della foto in questione. Ammesso che una foto debba averne per forza uno, di segreto.
È quello in cui Franny vivrà per sempre intrappolata il tempo in cui Salinger ha scelto di vivere imbalsamato? È a Franny e a quel tempo morto che Salinger sta pensando in questa foto? (O forse pensa solo a cosa mangerà per colazione?). Finito quel tempo, finito anche lui. Finita Franny, meglio uscire di scena, e non come uno che non ha più niente da scrivere ma come uno che non ha più nessuno per cui valga la pena ostinarsi a farlo.