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 2010  agosto 01 Domenica calendario

MISTERIOSO OMICIDIO SU UN CAMPO DA TENNIS

Ero, l´altra sera, a cena con un amico colto e tennista, uno di quelli che anni addietro venivano definiti "amateur". L´amico, che chiamerò Pier, possiede una notevole collezione di tele che, secondo i detrattori rappresentano una sorta di investimento, secondo altri - quorum ego - una ammirevole mania. Poiché avevo perduti i giornali senza leggerli, ne cavò due dal suo zainetto, sventolandomeli sotto il naso, e affermando, piuttosto infastidito: «Non se ne può più». «Della P3, del petrolio della BP, o di Pomigliano?». «Saranno argomenti noiosi ma doverosi» rispose Pier. «Quello che non reggo più è il fumetto sul Caravaggio». «Cos´hai contro Michelangelo?». «Io niente. L´ho sempre ammirato, credo di conoscerlo non come il Professor Longhi, o il tuo amico Bassani che ne era affascinato, ma insomma benino. Quello che non riesco a sopportare è il trattamento da tabloid, la capacità di tanti giornalisti, o peggio telegiornalisti, di tramutare una vita in un fumetto. Pare una storia alla Polanski, del quale parlano tutti quelli che non avevano mai visto un suo film, ma sapevano tutto sullo stupro». «Mica vorrai paragonarli», protestai un po´ infastidito. «Cosa sarebbe, secondo te, il fumetto a proposito del Caravaggio?».
«Le circostanze della fuga da Roma, dopo un omicidio. Si sapeva benissimo che era un caratteraccio, e che a quei tempi ci mettevano niente a tirar fuori la spada. E pare che tutto sia avvenuto più o meno come raccontano, che già ci fosse ruggine tra lui e il tipo con cui venne a duello».
«Ranuccio Tomassoni» interruppi. «Allora - disse Pier con un sorriso - avrai anche letto che il duello sarebbe iniziato per una lite relativa a un punto mal giudicato su un campo da tennis, a Roma, mentre stavano giocando in quattro contro quattro. Nel 1606: anzi - precisò - questo articolo si spinge addirittura a specificare la data, il 28 maggio. Lo avranno chiesto al polipo Paul, ma ogni epoca ha il Nostradamus che si merita». Rimasi un istante perplesso. Incerto se comunicare a Pier che l´autore del lungo articolo sul Caravaggio era informatissimo, e non aveva sbagliato niente. Poi, sulla mia naturale cortesia, prevalse il desiderio di verità. «Non ti infastidisci se ti dico che mi pare un bell´articolo» affermai, scorrendo qualche capoverso. Vidi Pier più incredulo che contrariato, e decisi di continuare. «Caro Pier - dissi - sai benissimo che ho speso una parte della mia vita a occuparmi di tennis, tanto da essere ritenuto addirittura un esperto. E forse non meno tempo a frequentare musei ed esposizioni, senza peraltro avventurarmi nel professionismo. Posso continuare?».
Peraltro sorpreso, l´amico accennò di sì. «Il tutto iniziò a Londra, alla fine degli anni Cinquanta, quando avevo il ruolo di vice del vice corrispondente del Giorno, che mi aveva sorprendentemente assunto. La redazione apriva nel pomeriggio, e io passavo le mie mattinate al British Museum, nel tentativo di migliorare il mio pidgin english, la lingua degli emigranti. Da ex tennista, e amico del tennista editore Giorgio Mondadori, gli avevo proposto con totale incoscienza ed eguale ignoranza di assemblare un libro sulle origini del gioco. Che, secondo le informazioni, risaliva al brevetto di un certo Maggiore Wingfield, nel 1874, mentre il torneo di Wimbledon, che anch´io avevo giocato, iniziava tre anni dopo, nel 1877. Raccoglievo dunque nella Northern Library, quella dei veri ricercatori, le notizie utili, sinché una mattina, alla richiesta di un testo, mi sentii rispondere in buon italiano. "È lei che si interessa al tennis, Signore?".
Scoprii che il Bibliotecario, Dennis Rhodes, conosceva non solo l´italiano, il latino, il greco, ma era un raffinato rinascimentalista. Non passò infatti un giorno che mi sentii chiedere: "Ma come mai lei si interessa soltanto del diciannovesimo secolo?". Risposi che volevo trovare testimonianze sulle origini, per vedere Mister Rodhes sorridere, e allontanarsi per ritornare dopo un paio di minuti tenendo religiosamente tra le mani una cinquecentina rilegata in pergamena. "Legga il titolo" mi suggerì con un sorriso. "Trattato del Giuoco della Palla" lessi incredulo. "Edito da Gabriel Giolito de Ferrari in Vinegia, 1555". "E l´autore?". "Antonio Scaino da Salò". "Vada al suo scranno - suggerì allora Mr. Dennis - e ricordi che ha tra le mani una delle dodici copie esistenti al mondo del primo libro sul Tennis, che allora si chiamava Giuoco di Rachetta, più tardi Pallacorda, in Francia Jeux de Paume". Andai, lessi, ritornai la mattina seguente, e altre ancora. E appresi notizie che mi avrebbero consentito di comporre, in soli tre anni, quello che doveva divenire il volume sul tennis più conosciuto e tradotto nel mondo, 500 Anni di Tennis».
Pier, che aveva ascoltato con pazienza superiore alle attese si decise a interrompermi. «Bella storia. Ma cosa c´entra col Caravaggio?». «Per cominciare, il libro è dedicato al Duca Alfonso Secondo d´Este, e la causa della sua redazione riguarda un disaccordo causato da un´interpretazione delle regole. Nel caso del Duca e di Scaino, che era non solo un suo compagno di gioco ma il consulente Tomista, la divergenza non poteva certo trascendere in lite. Ma si capisce che potesse avvenire, con di mezzo un tipo sanguigno come il Caravaggio. Posso continuare, Pier?».
All´assenso dell´amico, ripresi: «A parte le racchette, che già erano di legno, e cordate con corde di budello "col garbo della citera", le regole erano simili a quelle odierne, il punteggio seguiva i multipli di quindici. La principale differenza consisteva nella "cacce", il luogo in cui l´impatto di una palla non raggiunta da uno dei due avversari - o squadra - consentiva di segnare il punto. Terminato quello che oggi chiamiamo "game", gli avversari cambiavano infatti campo e, per non perdere il game, si vedevano costretti ad ottenere altrettanti punti migliorando i piazzamenti, e cioè i luoghi dei precedenti impatti avversi. Detto ciò, in modo rozzo, basta aggiungere che gli avversari potevano formare squadre di due, tre, quattro componenti. Disposti, per solito, due a rete e due a fondo. Nel caso del Caravaggio, un documento ritrovato quarant´anni dopo l´informazione del mio libro contenuta nel codice Barberiniano Latino 6339, ci informa che "Pratticavano anch´essi in sua (del Caravaggio) compagnia huomini anch´essi per natura brigosi, ultimamente affrontatosi con Ranuccio Tomassoni, per certa differenza di giuoco di palla e corda, sfidaronsi, e venuti all´arme, caduto a terra Ranuccio, Michelangelo gli tirò d´una punta, e nel pesce della coscia feritolo gli causò la morte. Fuggirono tutti da Roma, e Michelagnolo andossene a Pellestrina, ove dipinse una s. Maria Maddalena. E d´indi a Napoli, e quivi operò molte cose. Poscia andossene a Malta…"». E mi fermo con il documento di Giovanni Baglione, pittore contemporaneo del Caravaggio. Contentandomi di aggiungere che, secondo altri documenti, rinvenuti soprattutto dal maggior ricercatore del tennis cinquesecentesco, Egizio Trombetta da Roma, le ragioni della lite, al di là del dissenso di gioco, si sarebbero potute rinvenire nella gelosia per una cortigiana, Fillide Melandroni, forse amante di entrambi, seducente tanto da essere immortalata nel poema Fillide Civettina dal Bracciolini, e in un quadro di Caravaggio, del 1600, distrutto sventuratamente a Berlino nel 1945 da un bombardamento aereo. Sempre grazie al Trombetta, che ha identificato le piante dei campi da tennis esistenti in Vaticano, e vari Papi accaniti tennisti quali Giulio Secondo, Marcello Secondo, Paolo Quarto, il luogo della tenzone appare trovarsi nei luoghi dell´antica Via della Pallacorda, presso Palazzo Firenze.
Dopo simile lunga, e, lo ammetto, noiosa elencazione, mi rivolsi interrogativo a Pier, che si affrettò a domandarmi. «Piuttosto sorprendente, per un non addetto. Ma quando hanno cominciato? Scaino scrive nel 1555, Caravaggio uccide il 28 maggio del 1606. Esiste un inizio, come quello inglese del Lawn Tennis, il 1874?».
«Sarò costretto a citare il vecchio Scriba», affermai, con tutta la mia falsa modestia. «Il più antico documento sinora rinvenuto, nella Cattedrale di Barcellona, è un bassorilievo ligneo inciso sul rovescio dei sedili ribaltabili del Coro. Vi si vedono due monaci volanti, intenti a rimandarsi una palla con racchette di legno, prive di corde. L´opera è firmata da tale Pere Salgada, e vi appare anche la data, tra il 1393 e il 1399. Quel che tuttavia mi pare non meno affascinante, sono due pugnali che i monaci impugnano nella sinistra. Secondo gli esperti, simboli delle scommesse, che erano implicite nel gioco. Ma chissà. Dopo la vicenda del Caravaggio si può ritenere che il tennis potesse sì rappresentare un duello simbolico, ma non solo». «Pensi si possa giocare domani, senza troppi rischi?» credette di concludere l´amico. Sorrisi, e alzai il bicchiere al povero Tomassoni.