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 2010  luglio 31 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 2 AGOSTO 2010 - 33

deputati e 10 senatori: sono questi i numeri con cui venerdì è nato Futuro e libertà per l’Italia, il gruppo fondato dal presidente della Camera Gianfranco Fini dopo l’uscita dal Popolo delle Libertà.
Angelo Panebianco: «Sembrano dare ragione a Fini e torto a Berlusconi. Con un gruppo parlamentare di più di trenta deputati, più numeroso del previsto, il presidente della Camera è ora in grado, plausibilmente, di ridurre l’ex fortissimo governo Berlusconi nelle condizioni in cui si trovava il precedente, fin dall’origine debolissimo, governo Prodi: una maggioranza troppo risicata, margini di manovra troppo stretti, una navigazione parlamentare disseminata di ostacoli». [1]

Per il governo adesso è tutto più difficile. Stefano Folli: «O meglio: sarà il presidente del Consiglio in prima persona a trovarsi sottoposto alle forche caudine del nuovo gruppo finiano. Che ne sarà, per esempio, del processo breve e di tutte quelle misure d’impatto giudiziario che per il premier sono essenziali, anche in vista della pronuncia della Corte costituzionale sul legittimo impedimento?». [2] Al Senato Pdl e Lega non corrono pericoli: hanno 162 voti, la metà più uno. [3] Il problema è alla Camera: fino a ora hanno votato per il governo 342 deputati (271 Pdl, 59 Lega, 5 dell’Mpa, 3 Repubblicani, 4 liberaldemocratici), quindi con un margine di sicurezza di 26 voti rispetto al quorum di maggioranza che è a quota 316. [4]

I finiani d’ora in poi «contrasteranno le scelte del governo ritenute ingiuste o lesive dell’interesse generale». Fabio Martini: «Se loro si sfilano, il governo potrà contare su 309 voti, in parole molto povere non avrebbe più la maggioranza». [4] Vittorio Feltri: «Nei gruppi di Fini sono presenti ministri e sottosegretari: sarebbe assurdo se votassero contro se stessi. D’altronde, il leader sfiduciato dal proprio partito ha dichiarato di essere fedele al programma e di considerare la sua nuova formazione una colonna della coalizione, esattamente come la Lega. Ciò in teoria dovrebbe garantire vita tranquilla all’esecutivo. In teoria. In pratica è lecito attendersi cattive sorprese. Il federalismo e la riforma della giustizia sono punti fondamentali del programma. Ma non sono stati definiti nei particolari; diciamo pure che sono scatole vuote. Quando si tratterà di riempirle e di sottoporle al giudizio delle Camere, Fini sarà favorevole o contrario alle scelte della maggioranza?». [5]

«Saranno al massimo 21 deputati alla Camera», aveva assicurato qualche “lealista” a Berlusconi. Francesco Bei: «Da qui la fretta di chiudere la partita contro Fini con un atto di forza, senza ascoltare le voci di chi - come Giorgia Meloni o Gianni Alemanno - in Ufficio di presidenza chiedevano una pausa di 24 ore per un ultimo tentativo di riconciliazione. Berlusconi era stato invece rassicurato sul fatto che i finiani sarebbero stati “ininfluenti” per la tenuta della maggioranza ed è andato alla rottura. Ma così non è». Per neutralizzare la scissione, Berlusconi cerca in parlamento nuovi sostenitori: venerdì al summit Pdl si è parlato di un possibile parco di 16 deputati “grigi” - di provenienza Udc, Pd ma anche Idv - sui quali lavorare. [6]

«Altro che Milan: la campagna acquisti che interessa a Berlusconi è qui, in Parlamento». Mauro Favale: «“L’aggancio funziona così - spiega un finiano che chiede l’anonimato - Berlusconi telefona, fa telefonare. Dice che ti vorrebbe incontrare, ti offre l’universo mondo. Per lo più incarichi di governo. L’ottanta per cento di noi finiani sono stati avvicinati. Quelli che sono qui hanno resistito”. D’altronde non è una novità: “Voglio nominare sei nuovi sottosegretari”, aveva detto giorni fa il premier a chi lo aveva incontrato, deciso ormai alla rottura con Fini». [7]

Comunque vada la campagna acquisti, il terreno su cui Berlusconi vuole sconfiggere Fini è fuori dal Palazzo, nelle urne. Francesco Verderami: «Gli istituti di ricerca che lo quotano tra il 10 e il 12% secondo il Cavaliere sarebbero “drogati”. L’ha letto sugli ultimi report degli amatissimi sondaggi, che da tempo commissiona riservatamente per monitorare il presidente della Camera. Secondo il premier, Fini oggi è “sovrastimato” perché nei rilevamenti viene annoverato tra i leader che fanno parte del centrodestra». [8] «Nel caso Fini si presentasse alleato con noi otterrebbe al massimo il 3%. Ma se andasse da solo oggi non supererebbe l’1,2%», ha detto il premier venerdì a Palazzo Grazioli. Bei: «Anche per questa ragione Berlusconi ha interesse ad andare al voto in autunno, “prima che questi si organizzino sul territorio”». [6]

Per agguantare l’obiettivo del voto anticipato, Berlusconi ha bisogno che la Lega gli resti al fianco ma le prime risposte dell’alleato non l’hanno pienamente rassicurato. [6] «Otto mesi. Tenere in piedi il governo il tempo necessario ad approvare i decreti attuativi del federalismo e solo poi si potrà pensare ad elezioni anticipate...»: è stato questo in sostanza il messaggio di Bossi al Cavaliere. [9] Bei: «“Berlusconi altri 9 mesi così non li regge - osserva il vicesegretario del Pd Enrico Letta - , è chiaro che la prospettiva del voto a ottobre è concreta. Anche perché la manovra è già stata fatta. Ora si tratta di capire se la Lega può essere interessata a una legge elettorale che consenta a Bossi di presentarsi da solo senza essere massacrato da Berlusconi”». [6]

È su Bossi, Maroni e Calderoli, al netto delle loro divisioni interne «e sono tante», che il Pd punta per arrivare alle larghe intese e archiviare Berlusconi. Goffredo De Marchis: «Il segretario del Pd ha concesso molto al Senatur, nel colloquio a quattr’occhi di quindici giorni fa e in altri contatti. “Gli diamo innanzitutto la legge elettorale che vogliono loro. Un proporzionale con lo sbarramento che li renderebbe autonomi, liberi e forti”. Poi il Senato federale, un luogo dove i territori finalmente sarebbero visibili, espressione diretta dei cittadini, a cominciare da quelli del Nord». [10]

Prima di pensare a convincere la Lega a lasciare Berlusconi in cambio di una nuova legge elettorale, nel Pd dovrebbero mettersi d’accordo: proporzionale o maggioritaria? Anche D’Alema, come Bersani, ha in mente una legge proporzionale (modello tedesco). Sulla stessa linea Enrico Letta, convinto che sia la strada giusta per indurre la Lega a partecipare a un governo di transizione. Lina Palmerini: «Un’idea opposta è quella che invece ha Walter Veltroni. L’ex segretario del Pd mantiene fede al suo schema bipolare che, tra l’altro, è stato quello votato dall’assemblea del Pd nel documento in cui si illustra un sistema maggioritario e non proporzionale. Del resto, è per un’impostazione bipolare che è nato il Pd altrimenti – in un’ottica proporzionale – avrebbe avuto più senso lasciare i Ds e la Margherita. Chi farà la sintesi tra queste due impostazioni diverse?». [11]

Ammesso che il Pd riesca a mettersi d’accordo sulla nuova legge elettorale e a convincere la Lega a lasciare Berlusconi, quanto dovrebbe durare questo governo? «Può vivere un anno, anche 8 mesi», ha detto Bersani. Antonella Rampino: «Bersani, Franceschini, Fassino, financo Veltroni, lo considerano un passaggio per portare il paese alle elezioni. Massimo D’Alema no, “Massimo pensa a un governo con l’Udc che poi duri altri tre anni, Massimo ha in mente un ribaltone”, sospetta uno dei leader». [12] Il governo Dini del ’95 potrebbe fare da modello. Marco Cremonesi: «Anche nel 1995 il momento economico era difficile, e come nel 1995 — pensano i leghisti — si tenterà di affidare le redini all’economista del governo appena caduto. Ed è qui che si annida la grande paura: che Giorgio Napolitano, raccogliendo le preoccupazioni di buona parte del mondo economico e produttivo, affidi l’incarico a Giulio Tremonti. E la Lega, in quel caso, che farebbe?». [13]

«Bossi si fida più di me o di Casini, Fini e Bersani?», risponde Berlusconi a chi paventa l’ipotesi che pur di salvare il federalismo Bossi possa sostenere un governo di transizione. [14] Il premier non ha dubbi: appena possibile, la Lega sarà al suo fianco nel chiedere il ritorno alle urne. Palmerini: «Il ragionamento è questo: il federalismo non si farà dunque meglio andare subito a elezioni incolpando Fini mentre il premier pagherà il “prezzo” cedendo al Nord voti del Pdl e disegnando un futuro Esecutivo in cui il dominus sarà la Lega». [11] Roberto D’Alimonte: «A differenza di Marchionne il Carroccio oggi non dispone di un piano B. Per questo alla fine potrebbe avvallare le urne del Cavaliere come male necessario. Molto peggio dover appoggiare un governo tecnico in cui i propri voti verrebbero diluiti, o addirittura un governo di larghe intese». [15]

Il 14 dicembre la Consulta esaminerà, e verosimilmente casserà, la legge sul legittimo impedimento: la norma che blocca i dibattimenti contro il premier e tutti i ministri. Peter Gomez: «Prima di allora, per l’imputato B. è così necessario approvare lo scudo di riserva: il processo breve. Per farlo servono nuovi deputati. B. punta, sotto la regia dell’imputato Dell’Utri, ad imbarcare i parlamentari vicini all’imputato Cuffaro e molti altri impresentabili. Se non ci riuscirà si appellerà alla piazza. E userà i media per randellare non solo i finiani, ma chiunque nel centro-destra pensasse di seguirli. A Bossi, però, battere questa strada conviene poco. Significa rimandare il federalismo a un eventuale dopo elezioni. Più facile che stacchi la spina e tratti su un tavolo diverso». [16]

Il 14 dicembre 2010 non è la data che sta in cima ai pensieri leghisti, che pensano piuttosto al 20 maggio 2011. Alessandro Braga: «Entro quel giorno i decreti attuativi del federalismo dovranno essere tutti approvati, pena il decadimento della riforma. Ecco allora la vera data di scadenza dell’esecutivo». [17] Giorgio Galli: «È probabile che Berlusconi pensi a nuove elezioni, da tenere nel maggio 2011, dopo il varo dei decreti attuativi che accontenterebbero la Lega. Lo schema potrebbe essere quello di abbinare il voto anticipato con le consultazioni amministrative di grandi città come Milano, Torino, Napoli e Bologna». [18]

Per sciogliere le Camere sarà decisivo il Quirinale e il parere dei presidenti dei due rami del Parlamento (dunque ancora Fini). Galli: «E se Berlusconi ha formalmente una maggioranza e non si dimette, difficile immaginare un via libera del Colle. Al contrario se il Cavaliere si dimettesse, aprendo la crisi di governo, la Costituzione imporrebbe a Napolitano di verificare l’esistenza di una maggioranza alternativa, prima di mandare il paese di nuovo alle urne. Ecco la strettoia di Berlusconi: arrivare fino a maggio per accontentare la Lega e poi lavorare di fantasia per anticipare il voto ma senza dimettersi». [18]

Note (tutti i frammenti sono tratti dai giornali del 31/7): [1] Angelo Panebianco, Corriere della Sera; [2] Stefano Folli, Il Sole-24 Ore; [3] Lorenzo Fuccaro, Corriere della Sera; [4] Fabio Martini, La Stampa; [5] Vittorio Feltri, Il Giornale; [6] Francesco Bei, la Repubblica; [7] Mauro Favale, la Repubblica; [8] Francesco Verderami, Corriere della Sera; [9] Marco Alfieri, La Stampa; [10] Goffredo De Marchis, la Repubblica; [11] Lina Palmerini, Il Sole-24 Ore; [12] Antonella Rampino, La Stampa; [13] Marco Cremonesi, Corriere della Sera; [14] Amedeo La Mattina, La Stampa; [15] La Stampa; [16] Peter Gomez, il Fatto Quotidiano; [17] Alessandro Braga, il manifesto; [18] Giorgio Galli, La Stampa.