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 2010  luglio 30 Venerdì calendario

FIAT SERBA, E ALLORA?

La questione Fiat e l’annuncio di trasferire parte della produzione in Serbia è certamente un problema industriale, ma la sorpresa che ha destato è evidentemente anche il frutto di un black-out mediatico e culturale tutto italiano. Non c’era infatti molto da sorprendersi.
Negli ultimi due anni la Fiat ha più volte dichiarato di voler produrre a Kragujevac 200 mila auto (che avrebbero potuto diventare 300 mila a regime), un numero considerevole, cioè potenzialmente un terzo della produzione italiana. I giornali serbi ne hanno parlato ripetutamente e non poteva essere altrimenti, poiché la produzione Fiat nel paese balcanico potrebbe rappresentare un quarto di tutto l’export serbo. In un contesto di sovraccapacità produttiva mai così elevata a livello internazionale, appariva quindi chiaro già da parecchio tempo che ci avrebbe potuto rimettere qualche altra fabbrica italiana della Fiat.
Eppure per i media italiani l’investimento in Serbia ha rappresentato una non-notizia fino alla seconda metà di luglio (e una sorpresa in seguito). Abbiamo analizzato alcuni quotidiani di tiratura nazionale e grande tradizione, che mettono a disposizione via web i loro archivi. Da una breve analisi appare evidente che il numero di articoli dedicati alla presenza di Fiat in Serbia nei due anni passati è infimo (vicino allo zero nel corso del 2010 per molti quotidiani). In tutti i casi, la somma del numero di articoli usciti dalla primavera 2008 a giugno 2010 è inferiore a quelli del solo mese di luglio. E la tv - che di solito impone le regole del gioco alla carta stampata - ha tenuto un atteggiamento simile. Al contrario, sia i media serbi che i principali “business providers” hanno mantenuto viva l’attenzione sul piano Fiat in Serbia per parecchi mesi, e le dichiarazioni di Marchionne del luglio 2010 non hanno destato scalpore: non erano una novità.
La nostra analisi prende in esame i giornali per cui era più facile estrarre dei numeri, ma la problematica rimane la stessa per tante altre testate, locali e no, di partito o no, di destra e di sinistra, di stampo economico finanziario o generalisti. Maliziosamente si potrebbe pensare che alcune testate possano avere dei conflitti d’interesse (a causa di una presenza, diretta o indiretto, nell’azionariato di società collegate a Fiat) e abbiano limitato l’esposizione mediatica di un’informazione forse troppo sensibile. Nulla di più sbagliato: dalla nostra analisi – certamente parziale, ma le cui conclusioni da trarre sono molto chiare – appare come invece l’atteggiamento d’indifferenza verso l’investimento della Fiat in Serbia sia stato estremamente diffuso.
Quando si parla d’internazionalizzazione del Sistema Italia sembra che tutti, dai politici ai media passando per l’accademia, gli uffici studi o la società civile, non ne vedano che gli aspetti positivi. Tranne poi scoprire che gli investimenti all’estero possono talvolta significare delocalizzazione e allora sì che la testa emerge sotto la sabbia. Agli struzzi non si chiede però di gestire la sesta economia mondiale! Come faranno le nostre PMI tanto decantate dalla retorica a guardare all’estero se faticano ad accedere alle informazioni importanti? Come possono i policy-maker comprendere i complicati meccanismi internazionali che influiscono sul contesto locale e sul vivere quotidiano?
Crediamo che sia proprio in circostanze come queste che si possa lanciare un dibattito serio su industria e competitività che superi la sterile contrapposizione tra liberals e no-global, tra ottimisti di circostanza e pessimisti per principio. I media hanno ancora tempo di riscattarsi se contribuiscono a porre la domande importanti – del resto di risposte complicate a quasi tutto non c’è mai penuria, quando invece a fare la differenza è piuttosto la capacità di distinguere l’essenziale dal pleonastico. Però il tempo è veramente poco, siamo in piena “zona Cesarini”, gli ultimi minuti delle partite in cui la mezz’ala della Juventus anni ’30 - Renato Cesarini appunto - riusciva a segnare gol importanti.
Nel nostro piccolo, ci permettiamo di suggerirne qualcuna, di domanda. Alla luce del trend dell’ultimo decennio (produzione Fiat più che dimezzata), il piano di produrre, entro il 2014, 1.4 milioni di veicoli Fiat in Italia è praticabile? Perché la Fiat investe a Pomigliano per produrre un’utilitaria in uno stabilimento progettato per auto di gamma superiore? Non potrebbe produrne di più negli stabilimenti che già ha in Europa (Polonia e in Turchia), senza dimenticare poi che da Betim in Brasile escono ormai da anni – e senza che nessun giornale italiano abbia mai pensato di andare a scoprire come – molti più veicoli che da Melfi o Mirafiori? Lo fa per riconoscenza verso l’Italia, che ha dato i natali a Gianbattista Vico? Ma l’industria può fare beneficenza? Può farlo un’impresa che ha un azionariato globale?