Tonia Mastrobuoni, Il Riformista 29/7/2010, 29 luglio 2010
FASSINA: MARCHIONNE STA FORZANDO TROPPO LA MANO
Sergio Marchionne «sta forzando la mano per ridimensionare la rilevanza dei sindacati in azienda». È netto il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina. Il problema non è il contratto nazionale, puntualizza, ma la mancanza di regole certe sulla rappresentanza. E a fronte del problema reale dell’esigibilità degli accordi, in particolare di quello a Pomigliano, Fassino segnala gli episodi «affatto casuali» come i licenziamenti nelle scorse settimane, che mirano a creare rapporti di forza «molto a suo vantaggio». E il problema a monte, aggiunge l’economista, è che il Governo e Berlusconi sono totalmente assenti e che Sacconi, unico rappresentante al tavolo della trattativa, è «senza competenze».
Fassina, Marchionne continua a minacciare la disdetta del contratto nazionale dei metalmeccanici. Ieri ha puntualizzato che non lo farà ora, ma alla scadenza dell’accordo, nel 2012.
A mio avviso il contratto nazionale del lavoro c’entra poco. Al momento mi pare evidente, invece, che la Fiat sta forzando la mano, sta creando un rapporto di forza molto a suo vantaggio per ridimensionare la rilevanza dei sindacati in azienda. Non capisco quali sono gli ostacoli rispetto nuovo contratto dei metalmeccanici che sposta molto il baricentro sugli accordi aziendali.
Il fatto che la Fiom non l’abbia firmato, ad esempio.
Ma infatti dal discorso di ieri mattina di Marchionne mi sembra evidente che il problema vero è l’esigibilità degli accordi e non la ristrettezza degli spazi organizzativi per il lavoro. Il punto è come rendere efficaci gli accordi.
Voi cosa proponete?
Noi poniamo da tempo il problema della rappresentatività, della rappresentanza e della validazione degli accordi.
Della riforma della rappresentanza si parla ormai a vuoto da decenni.
E questa vicenda dimostra appunto che la questione è più urgente che mai. Invece di minacciare disdette del contratto nazionale dei metalmeccanici, sarebbe bene che anche Marchionne chiedesse regole più certe per la democrazia sindacale. Significa anche che si stabilisce con certezza, ad esempio, quando si può indire un referendum o no.
Ma infatti il problema è proprio il risultato di Pomigliano. L’amministratore delegato della Fiat forse teme che il 60 per cento di sì non lo tuteli sufficientemente da scioperi, mobilitazioni o addirittura sabotaggi futuri.
Anche in quel caso secondo me la Fiat dovrebbe agire diversamente e tentare un confronto con chi non era d’accordo sulle questioni che sono risultate critiche. Marchionne deve mostrarsi in grado di ampliare il consenso.
Come giudica l’atteggiamento del Governo sulla vicenda?
Il punto vero è esattamente questo. È nella totale latitanza del Governo che sta il vero problema del negoziato con Fiat. È sufficiente pensare a come Obama ha gestito la vicenda General Motors o la Merkel il caso Opel: i capi di governo degli altri paesi sono sempre stati in prima linea nei momenti di crisi delle aziende automobilistiche. Qui è il ministro del Lavoro a sedere al tavolo con Fiat, senza alcuna competenza.
È sempre il ministro del Lavoro e sul futuro degli stabilimenti o sulla disdetta dei contratti nazionali qualcosa la può dire anche lui.
Ma Sacconi non può certo promettere investimenti in infrastrutture o incentivi o altro. In tutta questa vicenda è totalmente assente il presidente del Consiglio che è l’unico che potrebbe negoziare davvero con Fiat. Ma ci vorrebbe un’idea di politica industriale che questo Governo e Berlusconi, con tutta evidenza, non hanno. Il punto vero è che la competitività di Fiat dipende anche dal contesto in cui opera.
Nella fase più calda della trattativa su Pomigliano avete appoggiato l’accordo “con riserva” come disse allora Bersani, cioè a condizione che quel contratto fosse un’eccezione. La minaccia di Marchionne di disdettare il contratto nazionale sembra smentire la vostra ipotesi.
Infatti era un auspicio, non un’ipotesi. E la Fiat ha dimostrato invece un atteggiamento incomprensibile. Io reputo i licenziamenti delle settimane scorse per niente casuali: è il segno di una volontà di forzare. Marchionne sta ponendo delle condizioni ultimative e sta scaricando sui lavoratori l’intero onere delle sue scelte. La modernizzazione non è una sola, non è solo quella che ha deciso l’ad di Fiat.