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 2010  luglio 28 Mercoledì calendario

NUOVA STRATEGIA HAYWARD DI BP VERSO LA SIBERIA

Londra. Nel giorno in cui gli attivisti di Greenpeace mettevano fuori uso venti distributori della Bp a Londra affiggendo cartelli con la scritta “Chiuso. Andare oltre il petrolio”, nella capitale scoppiava in tutta la sua gravità l’ennesimo caso legato alla British Petroleum, il gigante petrolifero britannico caduto in disgrazia dopo l’incidente nel Golfo del Messico. Due le notizie: primo, l’azienda ha registrato la più grande perdita nel comparto corporate della storia nazionale. Un buco di 17 miliardi di dollari nel secondo trimestre di quest’anno a fronte di un accantonamento di 32,2 miliardi di dollari per pagare i danni ambientali negli Usa e di un profitto netto dello scorso anno di 3,1 miliardi di dollari.
Secondo, più pesante a livello politico, l’addio da ottobre del numero uno di Bp, Tony Hayward, ora destinato a un incarico da direttore non esecutivo del consorzio russo Bp-Tnk, ma soprattutto forte di una buona uscita da un milione di sterline e un piano pensionistico che gli garantirà mezzo milione di sterline l’anno, che ha fatto montare su tutte le furie l’opposizione laburista e buona parte dell’opinione pubblica.
Al posto di Hayward subentrerà il veterano Bob Dudley, americano e sovraintendente per l’azienda proprio delle operazioni di pulizia nel Golfo del Messico. Ma l’addio dell’ex numero uno, da trent’anni in azienda, ha ragioni molto più politiche che meritocratiche. Per quasi tutta la stampa finanziaria Hayward è infatti il capro espiatorio di una situazione che trascende i conti e la catastrofe stessa: Bp è ormai un’azienda “too big to fail” ma disfunzionale sul mercato, forte di 100 miliardi di dollari di assets nel mondo, ma incapace di gestire la propria presenza estera, soprattutto negli Usa, a fronte della concorrenza sempre crescente.
Per molti, Hayward «ha preso il proiettile al posto dell’azienda», citando un’analista intervistato ieri da SkyNews, ma il suo ruolo in Siberia sarà tutt’altro che secondario: il «buon cittadino, uomo dal senso civico», così è stato definito Bob Dudley dal management dell’azienda, servirà come volto spendibile di Bp mentre Hayward - e questo spiegherebbe la paga faraonica - lavorerà nel punto nevralgico.
Non è un mistero che a metà dello scorso marzo, prima della vendita di massa di azioni Bp da parte di Goldman Sachs, il sito di ricerche di mercato Morningstar quotasse il titolo con un rating di tre stelle su cinque, quindi fomalmente appetibile, descrivendo però solo le debolezze di Bp, ovvero «la minore integrazione di Bp rispetto a Shell o ExxonMobil, le fluttuazioni del prezzo del petrolio e potenziali perdite dovute a rischi politici, soprattutto la forte esposizione in Russia».
Già, guarda caso proprio il consorzio Tnk-Bp, terzo gruppo petrolifero del paese, con 100mila occupati e la brutta idea di voler mettere i bastoni tra le ruote a Gazprom, che ha portato con sé l’espulsione del presidente del gruppo e la presa di ostaggi tra gli operai da parte del governo di Mosca: si manda come alto dirigente uno di cui non ci si fida in un posto di importanza strategica simile? No. E il perché è presto detto: la testa d’alce di Hayward serviva per bloccare le sempre crescenti ire, strumentali a livello economico, degli Usa e preparsi alla battaglia su uno dei punti forti per Bp, presentando come capo uno statunitense dalla faccia pulita e il curriculum intonso.
Le decisioni governative Usa riguardo alle piattaforme estrattive, infatti, si sono basate sempre sul principio del “tanto non succederà nulla”. Chi deve controllare e sovraintendere è il Minerals Management Service (Mms), una divisione dell’Interior Department, il quale dagli anni Ottanta in poi ha basato i suoi check sull’operatività delle strutture su un principio unico: esenzione. Ovvero, nessun controllo sull’impatto ambientale delle varie aziende e strutture operanti, si opera sub judice e via così. E la piattaforma Deepwater Horizon aveva ottenuto una nuova esenzione (in gergo tecnico “Categorical exclusion”) lo scorso anno.
Su cosa si basava questa certezza operativa, questo ennesimo nulla osta? Calcoli empirici pubblicati nel 2007 in base ai quali la “most likely size”, la quantità più probabile di petrolio che si sarebbe riversata in mare in caso di incidente, sarebbe stata pari a 4.600 barili. Peccato che nel Golfo del Messico, a oggi, siamo sopra quota 100mila barili riversati.
Ironia della sorte, a fare le pulci a Bp e quantificare il grado di responsabilità e quindi l’indennizzo sarà sempre l’Mms: il controllore che ha certificato quella piattaforma, si autoassolve e si erge a giudice. Ecco l’arma in mano a Bp per evitare che il conto sia ancora più salato di quanto è. Strategia benedetta da David Cameron e dai suoi advisors prima che questi lasciasse il paese in direzione dell’India con scalo diplomatico in Turchia.
Istanbul, un partner strategico quanto si parla di oleodotti e pipeline: tutto si tiene in questa vicenda e l’addio di Tony Hayward assume i contorni di una ristrutturazione strategica più che di una vendetta o di un benservito. E questo spiegherebbe le ire del leftist Guardian e quelle del Labour, rimasto spiazzato dalla capacità del governo di trasformare una debolezza come l’incidente nel Golfo del Messico in una mossa strategica. Azzardata, certo, ma che i mercati ancora non bocciano. Anzi. Business as usual.