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 2010  luglio 25 Domenica calendario

LA BOLLA DELL’IMMOBILE IN CINA POTREBBE COSTARE MILLE MILIARDI

La Cina finora è stata la locomotiva economica mondiale. L’ultimo triennio di crisi ha fatto vacillare la potenza statunitense in virtù di quella cinese. Esistono però le condizioni per cui questa tendenza possa fermarsi. Dopo la flessione del Pil cinese nel secondo trimestre, ora i timori vertono sull’inesplosa bolla immobiliare. L’autorità finanziaria di Pechino ha lanciato l’allarme: «Oltre 1.000 miliardi di dollari del mercato degli investimenti pubblici sono da svalutare». E arriveranno anche per i fondi immobiliari del dragone gli stress test.
La China Banking Regulatory Commission, in pratica la Consob del Celeste impero, per voce del suo numero uno Liu Mingkang ha esternato ciò che si pensava da tempo. «I progetti per le grandi opere rischiano di essere un pozzo senza fondo per il sistema bancario cinese», ha detto Mingkang. Il rischio concreto è che, in caso di stagnazione della domanda complessiva derivante dagli Stati Uniti in primis, possa innescarsi la miccia delle svalutazioni immobiliari. E per Pechino si aprirebbe la via dell’intervento di sostegno. Secondo i calcoli di Mingkang «le sofferenze ancora da mettere nei bilanci delle banche superano quota 1.000 miliardi di dollari nel panorama più tranquillo». In vista c’è un calo del valore delle case che potrebbe superare quota 23 per cento.
Uno dei primi ad accorgersi degli squilibri edilizi è stato Kenneth Rogoff. L’economista della Harvard University oltre due mesi fa aveva dichiarato a Bloomberg che «la bolla cinese sta scoppiando, proprio perché ogni sviluppo che avviene in quel sistema è soggetto a contraccolpi per via della sua velocità». E proprio per questa ragione il governo di Pechino aveva aumentato i requisiti per richiedere finanziamenti abitativi, con la conseguenza di calmierare le domande di nuovi mutui per le seconde o terze case. Tali misure non sono però servite a rallentare l’ascesa dei prezzi che, nonostante qualche timida frenata, hanno ancora molto vigore. Solo da qualche settimana si è verificata l’inversione di tendenza, ma Rogoff dice che è solo l’inizio. «Il peggio di verificherà solo nel 2011», ha sottolineato l’economista.
Intanto, come per il settore bancario europeo, anche la Cina sta per portare avanti gli stress test. Oggetto delle verifiche saranno i fondi immobiliari che, secondo il regolatore, avrebbero in portafoglio troppi crediti dubbi. Secondo la banca giapponese Nomura, che proprio sul tema ha rilasciato un’analisi la scorsa settimana, «il peso delle svalutazioni potrebbero superare quota 60 per cento nella maggior parte dei casi».
Pechino minimizza e ricorda che «tutti gli obiettivi di sviluppo infrastrutturale sono confermati». Pesa però la frenata del Pil, passato da una crescita dell’11,9 per cento nei primi tre mesi del 2010 al 10,3 del secondo trimestre. Un calo vistoso e inatteso, che potrebbe continuare, secondo le stime dell’ufficio statistico cinese. «Noi in ogni caso siamo tranquilli, anche perché restiamo sulle nostre linee di politica economica, le stesse che hanno permesso la nostra crescita in questi anni», ha dichiarato il portavoce dell’agenzia, Sheng Laiyun. Anzi, «il rallentamento aiuterà la nostra economia a evitare il surriscaldamento e ci assisterà nella trasformazione del nostro modello economico», ha spiegato Laiyun. Eppure, i rischi ci sono.
Preoccupa la domanda esterna, il cui calo è stato previsto già nella seconda parte dell’anno. Il ministro del Commercio cinese Chen Deming ha infatti ricordato che «la crisi mondiale non è ancora terminata e le turbolenze in Europa e Stati Uniti deprimeranno la richiesta di beni cinesi». Nello specifico, preoccupano gli investimenti esteri. «Una contrazione del flusso di capitali stranieri in Cina potrebbe avere effetti devastanti», ha avvertito Deming. La paura è che i timori possano diventare reali.