Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  luglio 25 Domenica calendario

POLIZIA CONTRO CARABINIERI SU GOMORRA

Il trasferimento è arrivato improvviso, un paio di settimane fa. Da Castello di Cisterna (trincea avanzata di Napoli, metropoli sotto i riflettori) a Foggia (sonnacchiosa città di provincia). Destinatario, il tenente colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo, ufficiale tra i più prestigiosi mai stati di stanza nel Napoletano.
Pluripremiato, Cagnazzo: per la cattura di camorristi di tutte le casacche, da Secondigliano a Caserta, dal Vesuviano al litorale domizio. Per il sequestro di armi e droga, per lo scompaginamento di clan più o meno agguerriti. Dunque, Cagnazzo viene spedito nella retroguardia. Perché? Perché la polizia - e questa è la notizia clamorosa - lo accusa di connivenze con la camorra. Con gli “scissionisti” di Secondigliano, in particolare, il gruppo di assassini e trafficanti di droga che fa capo ai boss Cesare Pagano e Raffaele Amato. In un’informativa depositata in Procura nelle scorse settimane, il capo della squadra mobile di Napoli, vicequestore Vittorio Pisani, riferisce che Cagnazzo si è comportato in maniera poco lineare: il tenente colonnello sarebbe stato troppo accomodante nei confronti degli “scissionisti”; tre persone lo affermano, probabilmente tre collaboratori di giustizia; intercettazioni lo confermerebbero. Iscrivere l’ufficiale superiore nel registro degli indagati è stato un atto dovuto da parte dell’ufficio retto da Giovandomenico Lepore.
La vicenda sta suscitando clamore e perplessità sia tra i carabinieri sia in Questura. I protagonisti sono due colossi della polizia giudiziaria italiana. Fabio Cagnazzo è figlio e fratello di ufficiali dell’Arma (il padre è un generale in pensione, ricoprono incarichi di vertice i fratelli Salvatore e Massimo, suo gemello). Vittorio Pisani, calabrese di origine, è fine studioso di diritto, provetto investigatore e pupillo del capo della polizia, Antonio Manganelli; è tornato a Napoli dopo una parentesi romana allo Sco e dopo avere guidato, negli anni Novanta, la sezione Omicidi della squadra Mobile. Poco meno di un anno fa, fece discutere la sua intervista al Magazine del Corriere della Sera in cui criticava la decisione di dare la scorta allo scrittore Roberto Saviano: «A noi della Mobile - raccontò - fu data la delega per riscontrare quel che Saviano aveva raccontato a proposito delle minacce ricevute. Dopo gli accertamenti, demmo parere negativo sull’assegnazione della scorta. Resto perplesso quando vedo scortare persone che hanno fatto meno di tantissimi poliziotti, magistrati e giornalisti che combattono la camorra da anni. Gomorra ha avuto un peso mediatico eccessivo rispetto al valore che ha per noi addetti ai lavori».
Pisani accusa, Cagnazzo si difende; per l’ufficiale superiore dell’Arma è certo il trasferimento dopo otto anni trascorsi in provincia di Napoli, prima alla guida della Compagnia di Nola, poi a quella del nucleo investigativo del gruppo di Castello di Cisterna: a settembre si insedierà a capo del reparto investigativo di Foggia. Una sede così inadatta a lui che quando, nei giorni scorsi, l’ufficiale è stato visto in Procura, è stato circondato dai cronisti perplessi: «Fabio, perché a Foggia?». Lui ha minimizzato: «Normale avvicendamento dopo otto anni. Per i saluti c’è tempo: ci accomiatiamo a settembre».
Dietro, invece, c’è un bubbone pronto a scoppiare, rappresentativo, forse, di uno scontro tra blocchi di potere. I pm titolari delle inchieste sugli scissionisti sono Stefania Castaldi e Luigi Alberto Cannavale; per anni hanno lavorato con Cagnazzo come brillante ufficiale di polizia giudiziaria, ora se lo ritrovano indagato. Clima pesante, dunque, in Procura: come agli inizi degli anni Novanta, all’epoca dello scontro tra i carabinieri del capitano Vittorio Tomasone (oggi comandante provinciale di Roma ) e i poliziotti del questore Vito Mattera, poi travolto dallo scandalo per la telefonata con il redattore capo del Mattino Giuseppe Calise: una chiacchierata disinvolta sui centri di potere a Napoli ai tempi di Tangentopoli, con giudizi taglienti su vari personaggi tra cui l’allora sindaco Nello Polese, intercettata da chissà chi e divulgata da Amedeo Laboccetta, oggi parlamentare del Pdl; una telefonata che a Mattera, costretto a dimettersi, costò la carriera.