Salvatore Cannavò, il Fatto Quotidiano 30/7/2010;, 30 luglio 2010
FUGA DALL’ITALIA
Ventimila posti di lavoro persi alla Fiat in dieci anni, cinquemila lavoratori del call center sfumati per lo spostamento delle attività nell’Est europeo. Secondo le stime dell’Istat, da marzo 2009 a marzo 2010 il numero di occupati in Italia è diminuito di 367 mila unità, mentre il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) si è attestato al 27,7 per cento.
VERSO EST. Non esiste stima accurata di quanti di questi posti di lavoro sono stati persi a causa delle delocalizzazioni ma se consideriamo quanto sta avvenendo alla Fiat o nel settore della Telefonia e dei call center si tratta di diverse decine di migliaia. De-localizzazioni come quella della Omsa fanno perdere all’Italia 400 posti di lavoro, mentre la Dainese di Molveno, la casa delle tute sportive e motociclistiche che rifornisce anche Valentino Rossi, sposta tutto in Tunisia, dove impiega già 500 persone, salvando solo 80 lavoratori su 250. E poi, ancora, il caso di Bialetti, Omsa, Rossignol, Geox e la complessa situazione del Nord-Est dove le produzioni all’estero servono anche a reimportare i prodotti, commercializzati intra-Ue, senza pagare i dazi doganali. È il caso di Calzedonia che ha realizzato una fabbrica a Cakovec e dispone di quattro stabilimenti, o del produttore trevigiano di intonaci e calci Fassa Bortolo, della vicentina Helios Tecnology che produce pannelli solari, addirittura della triestina Generali con la controllata Osiguranje.
3 MILA IMPRESE. La delocalizzazione, o outsourcing come preferiscono le imprese, è una delle scelte preferite delle aziende italiane che contribuisce attivamente alla perdita di attività produttive italiane e alla conseguente polverizzazione di posti di lavoro. Un’indagine dell’Istat del 2008 forniva dei dati molto precisi. Prendendo come base della propria ricerca le imprese italiane dell’industria e dei servizi italiani con più di 50 addetti, l’Istat ha rilevato che nel periodo 2001-2006, circa 3 mila imprese, pari al 13,4 per cento delle grandi e medie imprese industriali e dei servizi, hanno avviato processi di questo tipo. In particolare, il 9,9 per cento di quelle con almeno 50 addetti ha trasferito all’estero attività o funzioni precedentemente realizzate in Italia, il 7,3 per cento ha sviluppato all’estero nuove attività, mentre il 3,8 per cento ha realizzato congiuntamente trasferimento e sviluppo. L’internazionalizzazione ha interessato maggiormente le imprese industriali (17,9 per cento) rispetto a quelle operanti nel settore dei servizi (6,8 per cento).
SOGNO CINESE. Ad attirare di più le imprese italiane nel periodo 2001-06 è stata l’Europa, verso la quale si è indirizzato il 55 per cento delle imprese inter-nazionalizzate. Nel resto del mondo si distinguono Cina (16,8 per cento) e Usa e Canada (complessivamente 9,7 per cento), seguiti da Africa centro-meridionale (5 per cento) e India (3,7 per cento). Le previsioni per il periodo 2007-09 segnalano invece una forte crescita degli investimenti in India, Africa e nei paesi europei extra Ue. La motivazione fondamentale di questa scelta è scontata, la riduzione del costo del lavoro (65,4 per cento delle risposte) e degli altri costi di impresa (59,4 per cento). E, secondo l’indagine, i trasferimenti all’estero hanno portato effetti positivi nella riduzione del costo del lavoro (56,8 per cento), nel miglioramento della performance complessiva dell’impresa (55,7 per cento) e nell’accesso a nuovi mercati (52,3 per cento), oltre che nella diminuzione degli altri costi d’impresa L’andamento segnalato dall’Istat non si è arrestato, anzi nell’ultimo periodo di crisi economica la tendenza a risolvere la riduzione degli utili con una riduzione drastica dei costi di impresa è sembrata aumentare. • LA MOKA CINESE DI BIALETTI - La Moka Espresso sarà ancora utilizzata in tutte le case italiane ma sarà prodotta in Cina. La decisione di delocalizzare la produzione effettuata nel sito di Omegna, nella provincia di Verbania in Piemonte, produrrà la perdita del posto di lavoro per i 132 dipendenti ma anche per i 250 dell’indotto. L’azienda ha avviato la procedura di mobilità il 7 aprile scorso ma il 1 luglio è stato siglato l’accordo che prevede la cassa integrazione straordinaria per un anno prorogabile per ulteriori 12 mesi e un piano di gestione degli esuberi per facilitare il ricollocamento dei lavoratori e il raggiungimento dei requisiti pensionistici per le persone più anziane. La delocalizzazione del caffè assume caratteristiche ancora più sofisticate delle altre. Infatti la Bialetti terrà la fase di Ricerca e Sviluppo, lo studio del design e la definizione degli standard di qualità presso lo stabilimento di Coccaglio a Brescia mentre la produzione manifatturiera si sposta a Oriente. “Il perdurare della crisi congiunturale del mercato di riferimento e la crescita dei produttori dei Paesi low-cost, che hanno comportato un sensibile calo dei volumi del business delle caffettiere (-26 per cento nell’ultimo biennio), hanno reso il modello produttivo utilizzato da Bialetti in passato per le caffettiere non più competitivo, né sostenibile, a causa dell’alta incidenza dei costi fissi e indiretti” è la posizione dell’azienda. Ancora una volta, anche secondo Bialetti occorre produrre al più basso costo. • TUTTO PER LA CONVENIENZA OMSA - La strada della Serbia non alletta solo la Fiat ma, come vedremo, anche la Lady Company, proprietaria dello stabilimento Omsa di Faenza, dove si producono calze. La Lc, infatti ha raggiunto un accordo con il governo di Belgrado per l’apertura di un nuovo impianto (il terzo nella regione). Le lavoratrici hanno saputo dell’accordo direttamente dai giornali. Si tratta di 350 posti di lavoro che se ne vanno “sacrificati” sull’altare delle “migliori condizioni” serbe nonostante il gruppo sia in salute. La Omsa fa parte del gruppo Golden Lady, 5 mila dipendenti e 540 milioni di fatturato con 16 stabilimenti nel mondo. In Italia detiene il 50 per cento del mercato delle calze da donna. Il nuovo stabilimento sorge a Valjevo in Serbia, a 100 chilometri da Belgrado. Lo stabilimento proseguirà la parziale attività produttiva fino a settembre, ma se a marzo del prossimo anno almeno il 30 per cento non troverà una ricollocazione, la cig cesserà per tutti. Anche qui, come nel caso di Termini Imerese, si cerca un gruppo in grado di rilevare lo stabilimento faentino. Ma è sempre una scelta che arriva in ritardo e in difesa. • SERBIA BRASILE E POLONIA PER LA FIAT - Marchionne ha presentato lo scorso aprile il suo nuovo piano strategico ribattezzato, per quello che attiene al nostro paese, “Fabbrica Italia”. In realtà, ad essere profondamente penalizzata è proprio la casa madre della Fiat, il Paese che ha permesso grazie a miliardi e miliardi di incentivi alla fabbrica torinese di crescere e resistere sul mercato mondiale. Il trasferimento della produzione di importanti segmenti in Brasile (dove sono occupati circa 12 mila lavoratori), in Polonia (6500), in Serbia (2500 a regime), in Turchia (500) ha già prodotto gravi ridimensionamenti. Il più recente riguarda la chiusura dello stabilimento siciliano di Termini Imerese che ha già pagato la scelta polacca e quella serba con 1500 lavoratori in cassa integrazione senza alcuna prospettiva. La Fiat è passata dai 49.350 occupati nel 2000 ai 31.200 del 2009, “bruciando” in Italia circa 20 mila posti di lavoro. L’eventualità della nuova produzione in Serbia, dove gli stipendi si aggirano sui 400 euro mensili e gli incentivi del governo sono a fondo perduto, potrebbe mettere a rischio i 5000 posti di lavoro di Mira-fiori a Torino. • GEOX: “UN MALE NECESSARIO” - La Geox produce capi d’abbigliamento sportivo, prevalentemente scarpe. Il fatturato relativo al 2008 si è attestato su 892,5 milioni di euro. La sede aziendale si trova a Montebelluna (Treviso). Il proprietario è Mario Moretti Polegato, il cui patrimonio personale è stimato in circa 2,9 miliardi di dollari. Secondo la graduatoria stilata da Forbes risulta il quinto uomo più ricco d’Italia (a pari merito con Benetton) e il numero 400 della classifica mondiale. Geox della de-localizzazione un fattore di successo “un male necessario” come spiegava in un’intervista al Corriere della Sera il suo amministratore delegato. I prodotti Geox, infatti, venduti con un marchio italiano provengono principalmente da due stabilimenti: uno a Timisoara, in Romania , (dove sono impiegati 1.750 dipendenti e si lavora 24 ore al giorno con un sistema di turnazione a ciclo continuo) e un altro in Slovacchia (400 lavoratori). A Montebelluna si occupano del controllo di produzione e della ricerca. “L’intelligenza qui da noi, la produzione altrove” dice ancora Moretti Polegato. Intorno al sito rumeno Geox ha creato un autentico distretto calzaturiero, coinvolgendo svariati fornitori italiani soprattutto in relazione alle fasi del taglio e dell’assemblaggio. Da Timisoara partono, ogni giorno, 7 mila paia di scarpe dirette verso l’Italia, mentre ogni settimana si mettono in viaggio almeno 20 camion. Il 20 per cento della produzione di Geox avviene in Romania. Tutto questo grazie al fatto che lì si lavora 24 ore su 24: gli operai sono distribuiti, a rotazione, su tre turni da otto ore. • PIANO DA 450 ESUBERI PER ROSSIGNOL - A utilizzare le “ottime” condizioni di lavoro della Romania è anche la Rossignol, localizzata nel trevigiano, che produce materiale sportivo invernale. L’azienda francese, che commercia tra i più famosi sci e capi d’abbigliamento vari, ha anche vestito campioni del mondo come Alberto Tomba. La Rossignol ha annunciato un piano di esuberi di 450 persone in tutti gli stabilimenti del mondo, di cui 108 a Montebelluna, nel Veneto, che resterà centro di eccellenza per la progettazione mentre tutta la produzione verrà delocalizzata in Romania.