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 2010  luglio 31 Sabato calendario

VOGLIO UN CALCIO PIÙ CIVILE

Superata la linea d’ombra della timidezza, i 44 anni di Gianfranco Zola, non soffrono più di nostalgia. Le voci dei tre figli, i silenziosi rumori di Puntaldìa, nel nord dell’Isola, dove Zola trascorre un’estate placida, nel ricordo dell’uomo che è riuscito a mentenersi simile al ragazzino che il suo maestro di Oliena, Giovanni Maria Mele detto Zomeddu, proponeva invano a mezza serie A: “È troppo basso, non lo vogliamo”. Il metro e settanta scarso è rimasto lo stesso, a crescere è stata la persona. Percorso lungo, tenace. Nuoro, Sassari, Napoli, Parma, Londra, ancora la Sardegna, a Cagliari, a quasi 40 anni, per l’ultimo successo da calciatore con il soffio della gratitudine alle spalle, l’amicizia di Edy Reja e le diatribe sotterranee con Cellino.
Oggi Zola, tre figli e una moglie, Franca, la stessa incontrata ancora minorenne, è in pace: “Sono ancora in una fase di transizione, ho l’energia per correre e a volte l’impulso mi inganna. Non sempre il pensiero non va di pari passo all’istinto. A volte ripenso ancora a quando ero con gli scarpini ai piedi. Ritmi, abitudini, rimpianti che tendo a soffocare. Cambiare pelle non è semplice e convivo con alti e bassi continui. Però non mi lamento, me la cavo abbastanza bene. Mi godo la mia nuova veste. Alcuni aspetti della mia vita da tecnico mi hanno offerto occasioni che da calciatore potevo solo sognare. La famiglia, i figli, un dipanarsi più lento del tempo che mi lascia respirare”. Dopo la sofferta salvezza con il West Ham in Premier League, l’ipotesi di una chiamata italiana, tuta e fischietto pronti nell’angolo, lo lascia indifferente: “Per i prossimi sei mesi non ne voglio neanche sentir parlare. Studio, mi riposo e di impegni, contratti e clausole, se qualcuno vorrà davvero, parlerò nel 2011”
Ha visto che fallimento, ai Mondiali?
Credo che in questo momento il nostro campionato sia poco competitivo rispetto agli altri, all’estero giocano meglio e sono più preparati. In Spagna e Inghilterra, la musica è diversa.
Ragioni?
Da quando abbiamo vinto il campionato del Mondo in Germania, era il 2006, il ricambio generazionale ha smesso di essere produttivo. Nelle stagioni precedenti la Nazionale si era sempre assicurata forze nuove, stavolta non è successo e la Nazionale ne ha pagato le conseguenze. È un processo che parte da lontano.
A cosa è dovuto il declino del movimento?
C’è mancanza di talenti e perdita di posizione. Una volta, nelle competizioni europee, affrontare un’italiana significava incontrare guai. Oggi non accade. L’Inter che è campione d’Italia da un’eternità, ha un undici quasi esclusivamente straniero. Mi pare che basti per spiegare le difficoltà della Nazionale.
Si può storicizzare il declino?
Nell’ultimo quadriennio la discesa è diventata evidente. Al crollo fisiologico si aggiungono fattori come gli stadi vuoti, le strutture fatiscenti, segnali che ora collimano con i pessimi risultati. Stiamo spingendo nella direzione sbagliata, intorno alle partite del nostro campionato si respira negatività e perdita di entusiasmo. Non è una mia invenzione , è la realtà.
Le cose non funzionano.
È evidente, ci pensi, sulle prime pagine sportive c’è il trionfo del lamento.
Nelle prime amichevoli stagionali, botte fuori e dentro
gli stadi.
Da qualche giorno non leggo giornali sportivi, ma non mi stupisco. I campanelli suonano ma noi li ignoriamo senza intervenire. Io credo che il momento, semitragico del pallone italiano e del calcio giovanile, rappresenti in realtà una grande occasione per ribaltare il quadro. Nel caos, se si ha voglia di cambiare, la possibilità esiste. È il momento di avere coraggio. Ammodernare, ricostruire, stando ben attenti a non cadere nella sindrome dell’inaugurazione.
Ovvero?
Tagliare nastri per i fotografi per poi abbandonare l’involucro è un vizio tipicamente italico.
Balotelli andrà via.
Sul valore di Mario come calciatore non ho mai avuto dubbi e continuo a non covarne. Può diventare uno dei più bravi del mondo. Penso però che l’atleta non possa prescindere dall’uomo. Balotelli non può essere un’eccezione.
Troppe mattane?
Mario ha prospettive straordinarie a patto che riesca a riallineare la sue qualità calcistiche con quelle extrasportive. Per essere chiari, deve lavorare sul carattere. Il suo in questo momento è un limite, più che una ricchezza.
Intanto ha salutato anche Mourinho.
Rimane la sua lezione. La possibilità di essere vero anche a rischio di risultare scomodo. Mourinho può piacere o non piacere, però quando parla non è mai banale. Si può discutere l’approccio di base e anche il contenuto di ciò che dice però non si nasconde dietro all’ipocrisia o alla retorica.
A volte esagera.
A volte sbaglia, ma è lo specchio esatto di ciò che oggi chiede lo sport ai suoi uomini. Sfrontatezza, apertura, decisionismo. Lui è così, è stato premiato e devo dire che mi fa piacere.
E il suo avversario, Ranieri?
È stato semplicemente eccezionale. Campionato superbo suo e della Roma. Una bella rivincita.
Belle novità intraviste al Mondiale?
Poche. Ha prevalso il difensivismo, l’esasperazione tattica, l’equilibrio. Molta attenzione, ma poche emozioni e scarsissimo divertimento. La maggior parte delle squadre ha giocato con un solo attaccante e nove giocatori dietro la palla.
Deprimente.
Per lo spettatore, quasi un pianto. Ma oggi conta il risultato e in una manifestazione in cui sbagliare equivale a fare le valigie, non mi sento di biasimare i miei colleghi. Aggiungo una cosa.
Dica.
I giocatori sono arrivati stravolti dai loro campionati. Se affronti settanta partite l’anno, pretendere brio è ridicolo.
Il suo mestiere, è difficile. Salvare il West Ham non è stato sufficiente per proseguire l’avventura.
Ma è stato emozionante. Prossima domanda?
Parliamo di un suo collega e amico, Maradona. Quando lei arrivò a Napoli, nel ’91 la salutò a modo suo: “Finalmente ho trovato qualcuno più basso di me”. Il torneo sudafricano del Pibe è stato uno psicodramma.
Vedere Diego così vivo, presente a se stesso e partecipe mi ha commosso. Non ha fatto male, reciatare da tecnico adesso dipende solo da lui. Anche se l’eliminazione dell’Argentina è stata dolorosa, l’esperienza in panchina può illuminargli il futuro.
È in grado?
Deve lavorare molto, il nostro è un mestiere complicatissimo, anche dopo 10 anni di lavoro devi sempre imparare.
Prandelli le piace?
Umanamente e tecnicamente. Fonde giovani e calciatori esperti e lo sa fare come pochi. Non ha un compito semplice ma deve essere messo in condizione di navigare senza mine intorno. Spero glielo consentano.
La Rai abolisce la moviola.
A me fa piacere e penso sia un provvedimento intelligente. Non sono contro la moviola in assoluto ma sperare che venga usata correttamente, da noi è più di un’utopia. Al momento, le priorità mi sembrano altre.
Quali?
Ridare una dimensione più giusta allo sport e offrire cittadinanza all’errore. Che sia commesso da un atleta o da un arbitro e la tranquillità di chi dirige è troppo importante.
Capello disse “In Italia comandano gli ultras”. I giocatori juventini pochi giorni fa, sono stati minacciati duramente.
Una brutta vicenda. In questi anni, tutti e quindi anche i tifosi, hanno perso la strada. Chi viene allo stadio è una parte fondamentale del sistema. Senza di loro il pallone morirebbe, però alcuni di loro devono capire che devono riappropiarsi del loro spazio, le curve, con divertimento e senza ostilità. Se si introducono mezzi come la minaccia, il saldo non può essere positivo per chi gioca ma neanche per chi tifa, perché minacciare è comunque poco decoroso. Alla fine è una questione di pura educazione. Il calcio entro certi confini di civiltà è sostenibile, altrimenti è solatnto degradante.