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 2010  luglio 31 Sabato calendario

TUTTI QUEI MAL DI TESTA DI PAUL AUSTER

In fondo, nel foglio dedicato agli indirizzi della moda. Sotto il carrello degli sponsor, la gerenza, la pubblicità dell’oroscopo. A pagina 133 (la penultima) del settimanale femminile del Corriere della Sera, “Io Donna”. Ventuno righe strette strette, sconsigliate ai presbiti e ai coronarici. Perché si rischia la vista e si ride di un riso irrefrenabile nella breve e cofirmata lettera elaborata da Siri Hustvedt e Paul Auster, scrittori, uniti in matrimonio come nell’indignazione a penna ferma, per censurare il titolo di un’intervista alla consorte dell’autore di “Trilogia di New York” apparsa sul settimanale femminile. “Caro, ho il mal di testa”, cappello scelto dai redattori alla conversazione, a Siri e Paul non è piaciuto. E l’autrice di origini scandinave, che decise di scrivere a 11 anni, durante una breve estate a Rekjavik, trascorsa a leggere William Blake ed Emily Dickinson, ha riflettuto per poi passare all’azione. Siri nei libri teorizza il paradiso tolstojano “della tranquilla vita familiare”, descrive il marito nei suoi romanzi come un bello “dagli occhi verdi, limpidi, dal taglio asiatico”, ma deve aver reso le quattro mura di casa un inferno. La missiva parte da un trattenuto “vorremmo esprimere un rilievo circa il modo in cui è stata titolata l’intervista” e poi scioglie le briglie, perde i freni e si incammina nel tortuoso sentiero del risentimento: “Questo tentativo di umorismo richiama alla mente una donna che usa il mal di testa come scusa per evitare il sesso con suo marito, sfrutta uno dei peggiori clichè sessisti.
IL TITOLO introduce l’intervista a un autrice che ha pubblicato un libro di poesie, quattro romanzi, diversi saggi che ha un PphD in Letteratura inglese alla Columbia University ed è stata tradotta in 29 lingue. Il nuovo romanzo, “La donna che trema”, parla di Mal di testa e altri disordini neurologici, ma in realtà attraversa (sic) psicanalisi, filosofia, letteratura”. In conclusione, l’affondo più duro. Quasi una scomunica. “Ridurre un serio lavoro a un volgare gioco di parole è un insulto. Nessuno lo avrebbe fatto per introdurre il lavoro di un uomo: questo è molto triste per un settimanale dedicato alle donne”. Quindi sessismo, prospettive ribaltate, humor sotto terra e difficoltà di comunicazione che sono piovute sul tavolo di Diamante D’Alessio, 35enne romana, nata a Londra, con esperienze a Flair, Style e poi a “Io Donna”, direttrice dal primo numero del 2010, dopo 14 anni di ininterrotto regno di Fiorenza Valli-no. “Rcs Mediagroup, buonasera”. “Vorremmo parlare con Diamante D’Alessio”. “Un momento, prego”. Dieci telefonate, gentili funzionari, barlumi di speranza, estenuanti mediazioni che producono il nulla. D’Alessio, fanno sapere, “non vuole commentare” E, con il rumore di trattative ancora vivo della coppia Auster in sottofondo, se ne capiscono le ragioni. La diarchia artistica, storicamente annoia le stanze, le satura di ego e crea problemi. Astii reciproci, incomprensioni, sacrifici sopportati in nome dell’amore. E sa ad Auster, la rabbia di Siri è costata poco più di un telegramma, ad altri è andata peggio. Se l’unione tra Dino Campana e Sibilla Aleramo fu una coincidenza di poetiche follie, Il vento della malizia ammantò la storia d’amore tra Alberto Moravia ed Elsa Morante. Gli amici snob di lei la sobillavano: “Tu sei un genio, lui un bestseller, ma il mondo è ingiusto perché lui vende e tu no”. In realtà Moravia (più forte delle maldicenze e delle calunnie che lo volevano avaro a tutto tondo e di manica stretta) fu molto cavalleresco, anche economicamente. Un amore che non viveva di passione fisica, ma di puro piacere intellettuale. Senza le invidie, anche incontrollabili che costellarono la liaison tra Simon De Beauvoir e Jean-Paul Sartre fino a quando, messi sulla bilancia “Gli spiacevoli sviluppi della convivenza”, non scelsero case separate, non per rompere ma per sopravvivere. Nonostante le luci illuminassero il percorso di entrambi a giorno, ognuno dei due pensava di essere migliore dell’altro. Avvenne anche a Gozzano, Serao, Colette, Hemingway. Complici nella stagione dell’amore con i loro compagni, ma anche rivali, senza sfiorare il parossismo che colse in età matura Woody Allen e Mia Farrow. Lei, novella Medea sacrificò la figlia piccola e accusò l’artista di pedofilia, ma si trattò in realtà di una lunga vendetta eredità del disamore. Quando incrociarono gli sguardi, Mia era già una stella, Woody il regista del momento. Sfiorita la passione, Allen si mise con una ragazza molto più giovane e Farrow decise di agitare l’ossessione ed evocare l’orrore per non ammettere o deformare la sconfitta sentimentale. C’è chi fece di più, riuscendo a sostituirsi anche iconograficamente al consorte. Yoko Ono tormentò John Lennon, piegandolo ai suoi voleri, fino a quando la sintesi tra i due, in una subordinazione assoluta del maschio, fu completa. E quando non suono gli uomini a duellare, come nel caso di Salvador Dalì e Paul Eluard per Gala, musa dei suoi componimenti poetici, nella burrasca sentimentale finiscono sempre le due polarità.
TRA FRANCIS
Scott Fitzgerald e Zelda Sayre, invidia reciproca e voglia di emulazione spinsero le ultime pagine del romanzo in comune nei corridoi degli ospedali psichiatrici. All’inizio lei è riottosa. Figlia di un ricco giudice dell’Alabama, non ha alcuna intenzione di sposare un nullatenente. Poi , sistemata l’economia, tra un ballo e uno scandalo, competizioni, peregrinazioni e tradimenti possono avere il via. Esagerano, come noterà Nancy Milford: “Cominciava ad esserci un tocco di farsesco nelle loro esibizioni in pubblico”. Alcool, debiti, trasvolate compulsive. Scott morirà d’infarto nel 1940, Zelda bruciata nel 1948, dopo aver dato alle fiamme, tra una ricaduta e l’altra, il sogno di un impossibile equilibrio. Di diverso lamento, perì anche il rapporto tra Arhur Miller e Marilyn Monroe. Lei, incolta, lui autore di “Morte di un commesso viaggiatore”, sei anni di tentata educazione, equivoci e tentativi di spersonalizzazione che naufragheranno nel nulla. Non di rado capita che alla teoria si sovrapponga la pratica e che le due essenze non coincidano. Luis Bunuel e sua moglie Juana Rucar litigarono per tutta l’esistenza. Se glielo chiedevi però negavano: “Quisquilie come queste, le lasciamo ai borghesucci” e soprattutto, non scrivevano lettere ai giornali della “Sera”.