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 2010  luglio 31 Sabato calendario

Ma Saragat e Pertini al suo posto si dimisero - «Onorevoli colleghi, la situazio­ne di un anno fa, quando voi mi fa­ceste l’onore di eleggermi vostro Presidente, è oggi mutata

Ma Saragat e Pertini al suo posto si dimisero - «Onorevoli colleghi, la situazio­ne di un anno fa, quando voi mi fa­ceste l’onore di eleggermi vostro Presidente, è oggi mutata. Corret­tezza vuole ch’io metta a vostra di­sposizione il mandato da voi affida­tomi ».Chissà.Forse,se l’avesse det­ta così, come la disse Sandro Perti­ni, correva l’anno 1969, ecco, forse il Parlamento si sarebbe inchinato alla coerenza, e avrebbe respinto le dimissioni di Gianfranco Fini. O magari no, magari visto il clima di invero scarsa cortesia istituzional­politica, gli avrebbero detto grazie e accomodati, come fece l’assem­blea costituente quando, era il 1947, a rimettere il mandato fu Giu­seppe Saragat. Ma Fini avrebbe certo evitato di prestare il fianco a chi oggi lo accu­sa di poltronite acuta, costringen­do a fare chapeau persino l’ex ami­co Silvio Berlusconi. Invece, al pre­mier che segnalava come sia «venu­ta meno la fiducia nel suo ruolo di garanzia», Fini ha risposto prima a caldo con un: «Non mi dimetto, la presidenza della Camera non è nel­la disponibilità del presidente del Consiglio», e poi a freddo rafforzan­do il concetto: «Ovviamente non mi dimetto, perché è a tutti noto che il presidente deve garantire il rispetto del regolamento e l’impar­ziale conduzione dell’attività della Camera, non deve certo garantire la maggioranza che lo ha eletto». Vero. Di più: non solo il presidente della Camera non si può sfiduciare, ma, come annotava ieri il costitu­zionalista ed ex senatore Ds An­drea Manzella, «è eletto per l’intera legislatura:una volta accettato l’in­carico è indifferente alla maggio­ranza che lo ha eletto e non ha al­cun obbligo di rispondere di even­tuali fratture politiche». Il dato è che nel coro di chi oggi grida all’ine­dito scandalo, «è la prima volta nel­la storia della Repubblica che un presidente del Consiglio chiede le dimissioni del presidente della Ca­mera », ecco, in quel coro manca al­meno una voce che faccia notare che, in effetti, fino a qui non ce n’era stato bisogno. Era il 7 luglio del 1969 quando Pertini scrisse l’ad­dio in nome del fallimento del Psu, partito nel quale era stato eletto. Pertini ripeté il gesto una seconda volta nel 1975, dopo una polemica di Ugo La Malfa contro gli sprechi dell’amministrazione della Came­ra. In entrambi i casi i deputati re­spinsero all’unanimità le dimissio­ni, ma agli atti sono rimaste due let­tere di addio dettate solo, soprattut­to nel primo caso, da fattori politici. «Il problema non è il regolamen­to - avverte lo storico Ugo Finetti - , ma la credibilità istituzionale. La costituzione di un nuovo gruppo parlamentare altera l’equilibrio dell’assemblea.Se ad alterare quel­l’equilibrio è il presidente stesso dell’assemblea, l’incompatibilità scatta automaticamente». Il prece­dente di Saragat è lontano nel tem­po e magari fa sorridere accostare le vicende di queste ore alla scissio­ne di palazzo Barberini, eppure fa riflettere: «Saragat, da co-fondato­re del partito socialista, quando liti­gò con Pietro Nenni dando vita ai nuovi gruppi parlamentari del par­tito socialista dei lavoratori italiani, automaticamente si dimise da pre­sidente dell’Assemblea costituen­te » annota Finetti, che aggiunge: «Nessuno gli chiese di dare le dimis­sioni, ma lui, che della nuova for­mazione politica era il leader politi­co pur non guidando il gruppo nel­l’Assemblea, ritenne di non essere più compatibile con quel ruolo». Allora l’assemblea accolse le di­missioni, e al posto di Saragat ven­ne eletto il comunista Umberto Ter­racini. «Sì, Togliatti ne approfittò ­sorride Finetti - , e c’è da credere che finirà così anche questa volta: il Pd difenderà Fini ancora per un po’,per mettere il cappello su quel­la poltrona. Scommettiamo che ci va Piero Fassino?».