Giorgio Dell’Arti, La Stampa 31/7/2010, PAGINA 72, 31 luglio 2010
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 27 - VENDERE, VENDERE!
Il conte a Parigi non era più dunque un isolato, un provinciale. Il conte a Parigi era riuscito a introdursi.
Intanto è completamente diverso stare a Parigi da turisti - caso del 1835 - o starci per affari, come ora. Mélanie aveva la mania degli scrittori e lo portava al Casino Paganini, dove se ne incontravano parecchi. Al Jockey Club o a Chantilly capitava anche Rothschild. Per questa strada eccolo entrare, come racconta Romeo, «nei salotti più in vista di Parigi, presso la marchesa di Castellane, la duchessa di Galliera, la principessa di Belgioioso, la duchessa di Rauzan, la contessa di Circourt» dove il conte conosce «attori celebri come Élise Rachel, scrittori come Dumas, Sainte-Beuve, Mérimée, Ampère, filosofi come Cousin», oltre al giro dei politici «da Thiers a Molé a Villemain a Pasquier al duca di Broglie al Barante».
E i 50 mila franchi?
Quali 50 mila franchi?
Quelli che erano spariti dal conto di Blanc et Collin, quelli chiaramente sottratti di nascosto alla zia Vittoria per andarseli a giocare.
L’onorevole Gouin aveva proposto di rimborsare integralmente la rendita al 5 per cento. Se la proposta fosse passata, i parigini, a un tratto riforniti di soldi freschi, avrebbero comprato altra rendita. Dunque si poteva ipotizzare un rialzo. C’erano delle belle obbligazioni di Piemonte, emesse a 1.120 franchi e che adesso quotavano intorno a 1.060… Cinquantamila franchi di Piemonte, ecco qua.
Speculazione riuscita?
Michele gli scrisse: «Caro figlio, te l’ho detto tante volte, quando ci si serve di un credito bisogna tenere al corrente la persona che ce lo ha aperto. Vittoria mi ha chiesto spiegazioni e io non sapevo che dire. Eppure non sei mica pigro, anzi non c’è figlio più esatto di te. L’affare delle obbligazioni, si possono guadagnare o perdere 4-500 franchi. Niente di male, niente di bene. Però, figlio mio, non metterti a giocare con i titoli. Hai un avvenire certo, una reputazione ben assicurata, ti metti a fare questo goffo troppo caro, ti fai prendere dall’avidità di guadagnare, invece tu adesso, con le rendite delle tue proprietà, puoi giocare a colpo sicuro, 20 mila lire almeno, alla fine, contèntati e aspetta occasioni migliori. Inoltre, dopo essersi ben divertiti a Parigi, bisogna anche metter fine agli affari della zia. Oggi finisce il carnevale, profittiamone. In Quaresima andiamo a letto qualche volta alle dieci e alziamoci alle sette. Mettiamo in ordine la nostra mattinata e affrontiamo un affare al giorno. Non mi va che sacrifichi un solo affare. Per la tua Quaresima io ti domando: meno piaceri».
E lui?
Una sera il conte se ne stava nel salotto di Hortense Allart ed ecco la folla degli invitati farglisi intorno e chiedergli se scoppierà o no la guerra. Una squadra inglese comandata dall’ammiraglio Napier era apparsa davanti a Beirut. Si diceva che Thiers, in difesa degli imprescrittibili diritti francesi, avesse preparato un ultimatum. Erano in ballo parecchie scommesse. Cavour rispose che, se costretto, avrebbe puntato sulla pace. Era abbastanza evidente che con una guerra Luigi Filippo avrebbe messo a repentaglio il trono… Quando gli ospiti se ne furono andati, però, Hortense gli chiese: «Davvero puntereste sulla pace?» e aveva una cert’aria misteriosa. Era nata a Milano da un francese e da una savoiarda. Sposata Méritens, patita degli italiani («L’Italia è solcata dai miei amanti»), adesso andava a letto con Bulwer-Lytton, l’incaricato d’affari inglese fratello dello scrittore. «Sapete qualcosa?» chiese Cavour. Lei fece qualche giro di parole, per tenerlo sulle spine, e alla fine ammise: «Ho letto l’ultimatum». Il conte non riusciva a star fermo. «Dice che la Francia non può tollerare l’attacco a Beirut. Che ne va del suo onore. Che la Siria deve essere egiziana». «Badate, Hortense, un aggettivo, una sfumatura in questi casi modificano tutto…». «Vi dico che Bulwer me l’ha fatto leggere…». Fino a quel momento il conte aveva considerato troppo incerta la situazione. Ma adesso! Si precipitò dal suo agente, un vecchio che stava in Borsa da anni, uomo enormemente prudente. Quando apparve, Cavour stava passeggiando su e giù col cappello in mano, evidentemente fuori di sé. «Eccovi! Finalmente! Notizie riservatissime, ma sicure. Sarà la guerra!». «Conte…». «No, presto. Andate da Rodrigue. Andate da chiunque. Vendete! Vendete! Vendete! Il crollo è imminente! Vendete! Badate, non voglio affarucci da pochi franchi, ce ne vogliono almeno centomila!» «Conte, potrei sapere da chi…». «Come mai siete ancora in vestaglia? Thiers sarà ricevuto domani pomeriggio! Vendete! E al più presto!». «Signor conte di Cavour, desidero rendervi noto che sono contrarissimo…». «Vi intimo di impegnare su questa operazione centomila franchi! Ve lo ordino certissimamente!». «Avevo il dovere di avvertire il signor conte» mormorò infine l’agente. E così, tra il 7 e il 9 ottobre 1840, titoli allo scoperto per l’enorme somma di centomila franchi furono effettivamente venduti a nome e per conto del conte di Cavour.