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 2010  luglio 31 Sabato calendario

Intervista a Vincino - Seduto a un tavolino del Caffè Rosati in Piazza del Popolo, uno degli posti di Roma preferiti da Pasolini ed Elsa Morante, Vincenzo Gallo, in arte Vincino, attorciglia una bustina di zucchero e scorre il suo taccuino nero, zeppo di disegni fatti con un tratto pen dalla punta spaccata

Intervista a Vincino - Seduto a un tavolino del Caffè Rosati in Piazza del Popolo, uno degli posti di Roma preferiti da Pasolini ed Elsa Morante, Vincenzo Gallo, in arte Vincino, attorciglia una bustina di zucchero e scorre il suo taccuino nero, zeppo di disegni fatti con un tratto pen dalla punta spaccata. Ha iniziato a L’Ora di Palermo ed oggi disegna per Il Corriere della Sera e per Il Foglio. Gli è stato assegnato il «Viareggioterzapagina-Cesare Garboli», perché «protagonista del genere satirico italiano e d’un giornalismo quotidiano in pillole, dove ogni vignetta è parte di un discorso più che trentennale, affidato a testate satiriche storiche e ai più autorevoli quotidiani». Vincenzo Gallo, in arte Vincino, e negli anni . Lei ha partecipato alla fondazione di innumerevoli riviste satiriche, con Pino Zac nel 1978 ha fatto nascere «Il Male» «La bravura di Pino Zac nel mettere insieme il gruppo del Male è stata fondamentale: Vauro, Angese, Vannelli, Perini, Jacopo Fo, negli anni successivi hanno continuato a fondare giornali di satira insieme. Dopo Il Male c’è stato Tango, poi Zut e Cuore». Nessuno è durato granché, come mai? «I giornali di satira, secondo me, non possono durare a lungo. Se funzionano, è perché individuano il sentimento di quel preciso periodo storico; poi, quando il periodo finisce e il sentimento cambia, è difficilissimo riconvertirsi. Ad esempio la scommessa de Il Male, uscito proprio quando rapivano Moro, era interpretare la voglia di uscire dagli anni di piombo. Cuore riuscì a cogliere la crisi della politica, ma fallì subito dopo perché non capì la fase Berlusconi-Prodi». Si dice che abbia intenzione di far rinascere presto «Il Male» settimanale, con l’editrice Chiarelettere di Lorenzo Fazio e «Il Fatto». «Con Vauro ci stiamo pensando, ci vogliamo provare, vedremo a settembre se può funzionare. In questo progetto ci manca moltissimo Angese, che purtroppo è morto due anni fa. Aveva un gran tratto comico e sensibilità giornalistica, sapeva sempre smascherare cose che sono sotto gli occhi di tutti, ma che nessuno nota». Quali sono le qualità che apprezza in un disegnatore di satira? «Quella di far ridere raccontando bene la realtà, e la capacità di scavare dentro la notizia. Ci sono pochi disegnatori italiani che stimo: Vauro, Staino e qualche altro. Troppi ormai si limitano a seguire i luoghi comuni; uno su tutti, la critica a Berlusconi: la satira degli ultimi anni gli ha fatto un monumento. E lui ha capito benissimo come sfruttarla a suo favore». All’estero va meglio? «In America, ad esempio, ci sono molti più disegnatori che raccontano la politica nelle redazioni dei giornali, con più libertà che in Italia. E mi piacciono anche i francesi, come Charlie di Charlie Hebdo, una rivista che assomiglia un po’ al Male, e Plantu di Le Monde, e Willem, l’autore di Fred Fallo, che dovrebbe disegnare sul nuovo Male. In Francia è andato a vivere, da oltre trent’anni, un fumettista e illustratore italiano molto bravo che ora fa il pittore, Gaetano Liberatore. I fumetti sono parenti stretti della satira. I migliori racconti contemporanei sono graphic novel, quelle di Frank Miller ad esempio, l’inventore della serie di Sin City. Di italiani, invece, ne leggo meno: noi qui siamo ancora fermi a Tex Willer». Un’indicazione di metodo per i giovani autori? «Si deve sempre disegnare dal vivo, non leggendo le notizie sul giornale. Solo così si scopre come sono i personaggi nella loro umanità, con i loro complessi, i loro problemi. Fra i giovani, molto bravo è Alessio Spataro, che ha fatto due libri sulla Meloni, la Ministronza. Io mi diverto un sacco quando vado alla Camera, e del resto ho iniziato così, andando sul campo. All’Ora di Palermo ho seguito il processo per la strage di viale Lazio, una guerra di mafia. I disegnatori sono avvantaggiati rispetto ai fotografi, possono far vedere davvero quanto sono cattivi i cattivi: il disegno ha la capacità di raccontare le cose in modo molto più veloce della parola scritta. Dal vivo ho seguito anche il maxiprocesso. Lì ho incontrato Giampaolo Pansa, che faceva la stessa cosa che facevo io, guardava e raccontava, lui per Repubblica e io per Linus. È un autore che stimo molto, soprattutto per i suoi libri sulla Resistenza e sulla Repubblica di Salò. Ha fatto un’operazione di verità, arrischiandosi a raccontare una versione dei fatti diversa dalla leggenda che si considerava chiusa. E oggi tutti gli chiudono le porte per questo». Tra i saggisti, chi altro legge volentieri? «Lirio Abbate sulla mafia mi è sempre piaciuto, anche l’ultimo che ha scritto con Peter Gomez, I complici. Sempre su quei temi, apprezzo molto anche Francesco La Licata, perché è uno che parte da cronista e conosce Palermo davvero. Poi, Sergio Saviane era un vero maestro, l’unico giornalista italiano che ha dato davvero una mano alla giustizia, indagando sui delitti di Alleghe, ai tempi della seconda guerra mondiale. Devo molto, anche sul piano personale, a Danilo Dolci, alle cui marce della non violenza ho più volte partecipato, e a Goffredo Fofi. Le proposte di Michele Ainis ne La cura, invece, non mi hanno convinto per niente». Che cosa pensa della libertà di stampa e di critica oggi? «Io credo che la satira sopravviva sempre, anche durante i regimi, come il Pasquino nella Roma papale. Ad ogni sequestro il Male vendeva di più, noi non ce ne siamo mai lamentati. Oggi non dovrebbero fare così tanti piagnistei, su Internet c’è una libertà enorme, bisogna solo sfruttare appieno le potenzialità del mezzo. Sarei anche per tagliare i fondi statali: sia ai giornali, perché se non vendono è giusto che chiudano, sia alla cultura. Così magari si vedrebbero dei gruppi di poeti disperati per le strade a inventare finalmente la nuova avanguardia. In ogni caso, il punto della libertà di satira è la proprietà del mezzo di comunicazione: l’unico posto in cui un disegnatore è libero, è il giornale di satira, e così dovrebbe essere anche per la tv, con un canale ad hoc». E del caso Saviano, che cosa dice? «Ho letto Gomorra e mi è piaciuta solo la prima parte. Soprattutto però non mi piace il personaggio, il ragazzino che si trasforma in martire prediletto e che ora firma tutte le campagne di Repubblica. Esistono bravi cronisti di mafia e camorra, all’Ansa di Palermo c’è chi vive sotto scorta e non fa tutta questa scena. L’immagine di Max che lo raffigura cadavere è certo terribile, ma lui dovrebbe tornare a fare il romanziere vero, non il testimonio delle procure». Cosa sta leggendo in questo momento? «Da qualche giorno ho ripreso in mano Primo Levi, che avevo quasi dimenticato, e mi accorgo di quanto avevo perso nella prima lettura, di quanto è preciso nel descrivere la sofferenza. Ho riletto da poco anche Dante, che era un grande autore di satira, fustigatore dei contemporanei. Quando ero ragazzo, è stato fondamentale Pirandello: sono convinto che i suoi Sei personaggi in cerca d’autore abbiano cambiato il teatro nel mondo, è stato il testo più innovativo degli ultimi 200 anni. Subito dopo ho iniziato a leggere Sciascia, che consiglierei ancor oggi a uno straniero che voglia capire qualcosa dell’Italia». Nessun narratore contemporaneo? «Mi è piaciuto moltissimo Nicolaj Linin: la sua Educazione siberiana ha una grande forza drammatica. E poi leggo soprattutto gialli, legal thriller e noir. Amo in particolare, come in ogni settore, gli americani: James Ellroy soprattutto. Il suo American tabloid mi piace moltissimo anche come libro storico, per come racconta l’ambiente intorno a Kennedy. Mi ricorda di quando vidi Pompeo Colaianni, l’unico partigiano palermitano, furioso per la morte del presidente Usa: vedere un vecchio comunista così arrabbiato mi stupì, e da allora ho letto molti libri su quella storia. Mi sono piaciuti anche i primi di Grisham, meno i successivi. Molto Jeffery Deaver, ho tutte le sue serie, non solo Il collezionista di ossa. E anche Derek Haas, uno cattivissimo, e James Patterson. Fra gli italiani, trovo bellissime le collane di Meridiano Zero, piccola casa editrice che recensii io per primo su Panorama. Camilleri invece, non lo leggo più: pur essendo palermitano, il suo utilizzo della lingua non mi convince». Progetti per il futuro? «Da grande dipingerò grandi tele e scriverò un libro. Ho una storia da raccontare».