Mattia Feltri, La Stampa 31/7/2010, pagina 1, 31 luglio 2010
In viaggio sull’autostrada fantasma - La famigerata Salerno-Reggio Calabria, questo pezzo lunare d’autostrada, capace di evolvere alle tre corsie e degradare all’interpoderale, questa lotta fra la highway e il carruggio, questa chicane esistenziale che si snoda fra mari e monti, battezzata inferno, odissea, abisso d’Italia eccetera, ecco, questa famigerata Salerno-Reggio Calabria non è alla fine, per citare la meglio gioventù, che la biografia della nazione: un’eterna promessa
In viaggio sull’autostrada fantasma - La famigerata Salerno-Reggio Calabria, questo pezzo lunare d’autostrada, capace di evolvere alle tre corsie e degradare all’interpoderale, questa lotta fra la highway e il carruggio, questa chicane esistenziale che si snoda fra mari e monti, battezzata inferno, odissea, abisso d’Italia eccetera, ecco, questa famigerata Salerno-Reggio Calabria non è alla fine, per citare la meglio gioventù, che la biografia della nazione: un’eterna promessa. a percorrerla quotidianamente o nei giorni dei bollini di fuoco prevarrà quello che si vede su quello che si prevede: uno snervante tira e molla, una deviazione continua, un restringimento, un incolonnamento, uno smisurato attendere e fa nulla se qui e là si schiudono tratti come Dio comanda, appunto a tre corsie, più quella d’emergenza e le piazzole e la segnaletica lustra e catarifrangente e le aiuole di mezzeria di pregio svizzero. La battuta è pronta da sempre, e cioè pochi chilometri dopo Salerno, allo svincolo di Eboli, Cristo si è fermato lì, e poi ognuno per sé e il Padreterno per tutti. Ma non è proprio così. Insomma, si entra a Salerno alle 12,30 e buona fortuna: Reggio arriverà. Si scruta la carreggiata con scrupoloso pregiudizio. A Bainsizzi compiaciuti si vede la dissoluzione nei sacchi di spazzatura abbandonati sul ciglio, a Padula si nota quasi con allegria l’appunto folkloristico di un tavolino sul tetto dell’auto, e il conducente che lo regge col braccio sinistro e il passeggero col destro. Come a dire: benvenuti sul set, avrete tutto quello che desiderate. E del resto si sa ogni cosa, le mani della camorra sui tratti di competenza camorrista e quelli della ‘ndrangheta sui tratti di competenza ‘ndranghetista: Internet offre la cartina con le suddivisioni tra famiglie aggiornate all’ultima faida. Bisogna avvertire che a proposito della Salerno-Reggio Calabria non si è d’accordo su nulla. Né su quanto sia lunga, né su quando l’abbiano cominciata né tanto meno su quando sarà conclusa. Le ultime garanzie dicevano che tutto sarebbe stato lustro e infiocchettato entro il 2013. Le penultime (campagna elettorale 2008, giurin giurello di Silvio Berlusconi) dicevano entro il 2010. Qualche lingua lunga dell’Anas spiega: impossibile prima del 2016. Il solito pessimista dà l’aggiustatina: facciamo 2020, va’. Si può dire che è lunga 445 chilometri, deviazione più deviazione meno, e che per percorrerla servono sei ore se si è abituali vincitori del Superenalotto, più probabilmente sette - sono quelle occorse al cronista giovedì 29 luglio, giorno di pre-esodo - e ci vuol niente ad arrivare a otto e chi rispettasse i limiti di velocità raggiungerebbe le nove ma gli incolonnati ragguagliano: «A me una volta me ne servirono dodici». Infatti a Contursi l’autostrada non c’è più, è una Provinciale. A Sala Consilina vietato superare i 60 chilometri all’ora. Superata Padula ci si riduce su una corsia, chiusi dalle escavatrici, e sarà così per una trentina di chilometri, fino a Lauria, noi uno dietro l’altro sulla destra, e sulla sinistra, nel senso opposto, i camion che si fiondano con teatrali urgenze. Dopo un po’ ci si fa il callo, e si indebolisce la solida impressione che il camionista non sterzerà in tempo. Qui ci si dà un gran daffare. Un po’ sembra ammuina, ma dalle colline spuntano mozziconi di gallerie per quando la A3 sarà un righello a scorrimento rapido, se mai lo sarà. Gli stradini sventolano bandiere rosse e raccolgono o disseminano coni bicolori sfidando le auto con esibita noncuranza. A febbraio sono morti due operai e i sindacati giustamente la misero giù dura, questione di sicurezza e così via, ma ci si stupisce che non ci sia un funerale al giorno, con tutti questi lavoranti che saltellano di qui e di là e nessuno con su il casco. Si procede piano piano. Poi di colpo l’orizzonte si apre come un sospiro, il tracciato acquista una consistenza europea, l’asfalto dimostra le qualità migliori, le vernici splendono ma fai una curva, chessò, a Montalto Ufugo, e di nuovo sei nell’imbuto, il battistrada cede in avvallamenti, la segnaletica orizzontale scolorita, quella verticale guarda dall’altra parte perché, evidentemente, tempo fa il percorso era diverso. Si vede un muretto all’ultimo, una doppia curva va giù in picchiata che sembra il Cavatappi di Laguna Seca. Talvolta, non spesso, erbacce trascurate riducono la carreggiata già stretta. Ma tutto sommato si va avanti con decoro. Fra Falena e Lamezia Terme pare di stare nei dintorni di Bruxelles. Pure le stazioni di servizio assumono posture ambiziose: di solito se ne trovano di antidiluviane, il trionfo della fòrmica, gli scaffali della nostra infanzia dove ci si aspetta di vedere la pista Polistil, invece della rustichella un trionfale panino con la nduja. E sarà che certa retorica vorrebbe che questa fosse la strada dei pellegrini per Nogales, e non lo è, ma si intravede la luce sebbene talvolta, laddove è terminata, l’autostrada sembri già vecchia. Il punto, però, è che la Salerno-Reggio Calabria è come il tappone del Giro d’Italia: si sta in ballo mezza giornata e il bello è negli ultimi dieci chilometri. Nel nostro caso sono dodici, quelli che separano Bagnara Calabra da Scilla. Lì si prova il brivido del profugo. E’ un alternarsi di gallerie oscure - l’illuminazione è un’eventualità di ogni tunnel della A3 - e di viadotti dalle zampe mitologiche, trecento metri dentro i burroni; si è accerchiati da ipotesi di tracciati futuri, anche qui montagne di ghiaia fumante, ammassi di ferri per armare il cemento, niente corsia di emergenza, basterebbe un tamponamento e si bloccherebbe tutto per ore, visto che il presidio d’emergenza è stato rimosso: il ministero delle Infrastrutture non lo paga da diciotto mesi. Di nuovo su una corsia sola, e alla fine un quinto del percorso è stato affrontato così, a cinquanta all’ora o fermi. Spuntano cartelli stupefacenti: attenzione alle vibrazioni, brillamento mine. Si vivono sentimenti contraddittori di nuovo dietro a una betoniera fuligginosa oltre la quale si aprono gli sguardi splendidi di Scilla, i profili delle Eolie. L’ultima fatica è la breve discesa verso Reggio Calabria, lì c’è lo Stretto, Messina è a un palmo. Qui, a Cannitello, partirà il Grande Ponte, quello che unirà la Sicilia al resto del mondo. Non ci hanno ancora messo un mattone. Non si vede una buchetta, un colpo di vanga, niente. Dicono che stanno sondando. Meravigliosa Italia: in fondo a un miraggio ne è già pronto un altro.