Emanuele Coemn, L’espresso 5/8/2010, 5 agosto 2010
A CACCIA DI PAPA’
A sei anni, Katie Smith viene data in adozione. Otto anni più tardi, la ragazza contatta di nascosto la famiglia di origine attraverso Facebook. Digita nomi e cognomi nella rubrica del social network più diffuso al mondo, riconosce i genitori nelle foto. Il gioco è fatto. All’inizio è eccitata, pensa di riallacciare il filo spezzato da bambina. Presto, però, la felicità si trasforma in delusione e paura. La sorella naturale le spedisce una mail ogni mattina, la insulta, le augura di morire. Il padre biologico addirittura la chiama al telefono raccomandandole di seguire tutti i giorni via Internet le sue vicende, tenta di manipolarla raccontandole bugie. Tre mesi dopo, i genitori adottivi scoprono che quell’uomo è stato arrestato già due volte per violenza e reati legati alla droga. È il panico. Non sanno cosa fare.
Quello di Katie Smith non è un caso isolato: dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, dal Sudamerica all’Italia, Facebook sta rivoluzionando l’universo delle adozioni, forse per sempre. Ci sono adolescenti che rintracciano genitori o fratelli mai conosciuti dall’altra parte del pianeta o nella stessa città. E viceversa. Ma senza l’aiuto e la mediazione di psicologi e assistenti sociali. Il fenomeno, generato dalla tecnologia user friendly della sterminata comunità virtuale - mezzo miliardo di utenti di ogni età in tutto il mondo, 16 milioni solo in Italia - fa vacillare uno dei cardini del sistema: la tutela della riservatezza (seppure con norme diverse da paese a paese), con conseguenze difficili da prevedere.
In Italia, se al momento del parto la donna non riconosce il neonato e chiede l’anonimato, l’accesso alle informazioni sulla sua identità è precluso al figlio fino a 100 anni dalla nascita. E se il genitore biologico vincola il consenso all’adozione alla garanzia che il proprio nome non venga divulgato, il tribunale non può concedere l’autorizzazione. In caso contrario il figlio, una volta compiuti 25 anni, ha diritto di sapere chi sono i genitori naturali, sempre con l’avallo del tribunale per i minorenni. Il sistema, che privilegia la riservatezza per non turbare equilibri familiari faticosamente raggiunti, oggi viene messo a dura prova. Su Facebook, infatti, fioriscono gruppi di figli adottivi in cerca dei genitori naturali: decine di donne e uomini che pubblicano le loro generalità e i pochi dettagli disponibili su circostanze e luogo di nascita, nella speranza che qualcuno risponda. Contestano la legge, rivendicano il diritto di conoscere le proprie origini, fondano comitati e ong come Faegn (figli adottivi e genitori naturali, faegn.it) e Astro Nascente (astronascente.it) che sui loro siti creano bacheche con gli appelli di genitori biologici e figli adottivi non riconosciuti.
Come Tiziana Felisi, 27 anni, adottata a Milano a 19 giorni dalla nascita. Da sette anni cerca disperatamente la madre mai conosciuta: compiuti i fatidici 25 anni, ha chiesto al tribunale di poter accedere alle informazioni su di lei. Invano: l’autorizzazione le è stata negata per ragioni di privacy. Ora è iscritta al gruppo "Figli adottivi" su Facebook e non si dà per vinta. "I miei veri genitori", racconta all’Espresso, "sono quelli adottivi, ma non basta. Io voglio conoscere la mia madre naturale, guardarla in faccia e ritrovare un pezzo di me, mi manca in modo pazzesco. Non ho nulla a cui aggrapparmi ma continuerò a cercare, non perdo la speranza".
A questo tema incandescente la scrittrice britannica Eileen Fursland ha dedicato due saggi, "Facing up to Facebook: a survival guide for adoptive families" (Come affrontare Facebook: guida di sopravvivenza per le famiglie adottive) e "Social networking and contact: how social workers can help adoptive families" (Social network e contatto, come gli assistenti sociali possono aiutare le famiglie adottive), pubblicati da Baaf, l’associazione britannica per l’adozione e l’affido. Tra testimonianze e approfondimenti, lo scenario è variegato: c’è la ragazzina che contatta via Facebook il padre biologico e decide di andare a vivere insieme a lui in un’altra città; la ventenne rintracciata dalla madre al termine di un’estenuante ricerca nell’elenco di 500 nomi simili al suo, che decide di non rispondere all’appello. Storie di molestie, dolore, sensi di colpa e tradimenti. Qualche raro lieto fine.
Un fatto è certo: il cambio di rotta obbliga gli assistenti sociali, che in molti casi continuano a seguire le vicende della famiglia anche negli anni successivi all’adozione, a ripensare alcuni aspetti della professione. In Gran Bretagna un’importante associazione di categoria ha da poco organizzato il convegno Facing up to Facebook (Affrontare Facebook): gli assistenti sociali vogliono sapere come consigliare e supportare le famiglie, valutare i rischi, tutelare i bambini e i ragazzi, gestire le complicate situazioni che si vengono a creare in seguito al contatto imprevisto.
"In Italia nell’ultimo anno il fenomeno è cresciuto in modo esponenziale", spiega Simonetta Cavalli, consigliere dell’ordine nazionale degli assistenti sociali, impegnata tutti i giorni sul fronte delle adozioni in una Asl di Roma. "Alla base c’è la curiosità, legittima, di ritrovare la famiglia di origine: la storia precedente non va mai cancellata, come tutti i segreti può diventare uno scheletro nell’armadio. Il Web, però, è un’opportunità ma anche un rischio: ai genitori consiglio di diventare amici dei figli su Facebook, per conoscere le loro frequentazioni e commentare i fatti della vita. Sconsiglio invece di mettere il computer nella loro stanza: deve essere in un luogo accessibile ai genitori, il ragazzino non deve mai essere lasciato solo con la curiosità".
Gli esempi non mancano, anche alle nostre latitudini. C’è la tredicenne adottata, figlia di prostituta, che setaccia di nascosto Facebook e siti pornografici alla ricerca della madre; la bambina di 11 anni che in compagnia dell’amichetta frequenta assiduamente il social network per rintracciare i genitori naturali; i due fratellini contattati dal fratello maggiore biologico. Una volta scoperti, molti genitori adottivi reagiscono con rabbia, tolgono ai figli l’accesso a Internet e il telefonino, altri invece affrontano insieme il percorso verso le origini. "Mio figlio frequenta Facebook assiduamente. Se scoprissi che ha tentato di contattare i genitori biologici non gli impedirei di continuare, ma vorrei discuterne con lui e accompagnarlo, magari con l’aiuto di uno psicologo", afferma Paolo Limonta, 52 anni, padre di Raul, 16, adottato in India quando aveva sei anni. Né lui né i genitori adottivi sanno quasi nulla della famiglia biologica e finora il ragazzo non ha manifestato desiderio di ricostruire la vita precedente. "La galassia dei social network è molto vasta, non siamo in grado di misurare il fenomeno in termini statistici", spiega Daniela Bacchetta, vicepresidente Cai, la commissione per le adozioni internazionali istituita presso la presidenza del Consiglio dei ministri per garantire che le adozioni di bambini stranieri avvengano nel rispetto dei principi della Convenzione de L’Aja sulla tutela dei minori. "In Italia il sistema delle adozioni è diverso da quello anglosassone. In Gran Bretagna le adozioni internazionali sono meno numerose e nel nostro Paese l’età media dei bambini adottati è piuttosto elevata, in particolare quelli provenienti dall’Europa dell’Est. Fin dall’inizio, quindi, il rapporto con le origini resta più vivo: un buon accompagnamento da parte dei genitori può aiutare il figlio a vivere con consapevolezza le nuove esperienze, accettando e valorizzando quelle passate".
La ricostruzione del "romanzo familiare" del figlio, in effetti, è uno dei compiti dei genitori adottivi i quali, in base alla legge, provvedono "nei modi e termini che essi ritengono più opportuni" a informare il minore adottato della sua condizione. E possono anche rivelare le generalità dei genitori biologici, se questi non hanno chiesto l’anonimato. "Non è mai la verità a fare male bensì le cose non dette, che creano fantasmi e incomprensioni", spiega Gennaro Izzo, assistente sociale esperto di adozioni e affidi nazionali e internazionali, consigliere dell’ordine nazionale degli assistenti sociali e dirigente del piano di zona Penisola Sorrentina e Capri. "Nella mia esperienza ho incontrato intere generazioni di figli adottivi che hanno scoperto di esserlo in tarda età, magari da vicini di casa pettegoli o parenti invadenti, con effetti devastanti. Vent’anni fa l’argomento era tabù, tutto avveniva in segreto, anche contro ogni evidenza. Comunque, se il ragazzo ricorre a Internet di nascosto, vuol dire che nella famiglia adottiva esiste un problema di comunicazione. Quando il passaggio di informazioni è trasparente, Facebook non produce effetti negativi sulle sue relazioni".