Giorgio Dell’Arti, 30 luglio 2010
BERLUSCONI-FINI
(Rif. Sch. n. 1384936)
Berlusconi ha buttato fuori dal Pdl Gianfranco Fini, ma potrebbe anche aver accelerato, senza volerlo, la fine del suo governo e dell’era cosiddetta “berlusconiana”. Dipenderà soprattutto dalla consistenza dei nuovi gruppi che i seguaci del presidente della Camera costitueranno a Montecitorio e a Palazzo Madama e, tra qualche giorno o qualche settimana, dalle decisioni che la Lega sarà costretta a prendere di fronte al rischio che la riforma federalista non vada in porto.
Cronaca Dopo due giorni e una notte di riunioni, ieri sera l’ufficio di presidenza del Pdl ha deferito ai probiviri del partito i tre finiani Italo Bocchino, Carmelo Briguglio e Fabio Granata, e approvato (33 favorevoli e 3 contrari) un documento durissimo contro Gianfranco Fini, a cui ha anche chiesto di lasciare la presidenza della Camera. «L’ufficio di Presidenza considera le posizioni dell’onorevole Fini assolutamente incompatibili con i principi ispiratori del Pdl, con gli impegni assunti con gli elettori e con l’attività politica del Pdl... Di conseguenza viene meno anche la fiducia del Pdl nei confronti del ruolo di garanzia di presidente della Camera indicato dalla maggioranza che ha vinto […] L’atteggiamento di opposizione sistematica al nostro partito e nei confronti del governo, che nulla ha a che vedere con un dissenso che legittimamente può essere esercitato all’interno del partito, ha già creato gravi conseguenze sull’orientamento dell’opinione pubblica e soprattutto dei nostri elettori, sempre più sconcertati... La condivisione di princìpi comuni e il vincolo di solidarietà con i propri compagni di partito sono fondamenti imprescindibili dell’appartenenza a una forza politica […] Partecipare pubblicamente al gioco al massacro che vorrebbe consegnare alle Procure della Repubblica, agli organi di stampa e ai nostri avversari i tempi, i modi e perfino i contenuti della definizione degli organigrammi di partito e la composizione degli organi istituzionali, è incompatibile con chi si riconosce nel Pdl... Assecondare qualsiasi tentativo di uso politico della giustizia; porre in contraddizione la legalità e il garantismo; mostrarsi esitanti nel respingere i teoremi che vorrebbero fondare la storia degli ultimi sedici anni su un "patto criminale" con quella mafia che mai come in questi due anni è stata contrastata con tanta durezza, significherebbe contraddire la nostra storia e la nostra identità».
La risposta di Fini Fini ha risposto dichiarando subito che non si dimetterà da presidente della Camera e che quel ruolo non è comunque nella disponibilità del presidente del Consiglio. Ha poi annunciato una conferenza stampa per oggi, a un’ora non ancora precisata, in cui annuncerà la costituzione di nuovi gruppi parlamentari, uno alla Camera e l’altro al Senato. È in pratica l’atto di nascita di un nuovo partito, stilato però talmente in fretta che al momento non se ne conosce ancora il nome. Questa formazione sosterrà il governo, «secondo il patto sottoscritto con gli elettori», ma certo determinandone in qualche modo le scelte.
Finiani Il punto riguarda la consistenza di questa nuova formazione. Stanotte, e ancora stamattina, si parlava di 34 deputati e 14 senatori, numeri che metterebbero seriamente in difficoltà il governo. Il Giornale, in una sua tabella, accredita i finiani di 5 unità al Senato e di 23 unità a Montecitorio e li mette senz’altro all’opposizione (il che al momento non è vero). Anche così, per Berlusconi non sarebbe facile: la maggioranza avrebbe solo 6 seggi di vantaggio alla Camera (318 a 312), contro i 54 attuali.
Lega Le deleghe per la realizzazione del federalismo scadono il prossimo 20 maggio. Dunque Bossi ha fretta, perché le elezioni anticipate sono un’eventualità possibile e il capo del Carroccio non pensa di potersi presentare ai suoi elettori senza quella riforma. Ieri, a chi gli chiedeva di dare un consiglio a Berlusconi, Bossi ha risposto: «Che se ne vada in ferie».
Scenari Non esiste una via costituzionale per mandare via Fini e anche un’eventuale raccolta di firme tra i deputati del Pdl suscita molte perplessità: dovrebbe essere in ogni caso lo stesso Fini ad ammettere la costituzionalità di un’iniziativa del genere. L’ipotesi che Berlusconi, esasperato dalle manovre dei suoi ex amici, si presenti a un certo punto al Quirinale per dimettersi sono direttamente proporzionali all’eventualità che poi Napolitano sciolga effettivamente le Camere. Scelta impossibile per il Presidente se in Parlamento si concretizzasse una nuova maggioranza. Il Pd, che vuole costringere il presidente del Consiglio a presentarsi in Parlamento, punterebbe a un esecutivo Draghi, che cambi la legge elettorale e affronti la questione economica. Nel partito su questo punto però il dibattito è molto forte e i contrasti notevoli (del resto, tra i finiani, si intravede già, all’orizzonte, un eventuale gruppetto di opposizione a Fini, capitanato da Augello…). Casini, che Berlusconi punta a far entrare nell’esecutivo, vuole la cancellazione dell’attuale legge elettorale (di cui a suo tempo fu il padrino) e il ritorno (più o meno) al proporzionale. Sia il Pd che i finiani sono invece maggioritaristi.
Piattaforma Poco prima dell’atto finale di questa vicenda, Fini aveva offerto, con un’intervista al Foglio, una specie di tregua. Si trattava di «resettare tutto senza risentimenti». «Berlusconi ed io non abbiamo il dovere di sembrare amici, ma dobbiamo onorare un impegno con gli italiani. Per questo ci tocca il compito, anche in nome di una storia comune non banale, di deporre i pregiudizi, di mettere da parte carattere e orgoglio, di eliminare le impuntature e qualche atteggiamento gladatorio delle tifoserie». L’intervista conteneva una proposta in cinque punti, che lo stesso Italo Bocchino ha riassunto così sul blog di Generazione Italia: «1. Un nuovo patto di legislatura e un nuovo programma; 2. Gli Stati generali dell’economia per rilanciare il Paese e renderlo maggiormente competitivo nello scenario internazionale; 3. Un codice etico per il Pdl; 4. Una commissione per studiare la compatibilità del federalismo con i conti pubblici e la coesione nazionale; 5. L’azzeramento dell’organigramma del partito». Si trattava di cinque proposte, in realtà, irricevibili da parte del Cavaliere. La prima avrebbe imposto un rimpasto di governo, orientato anche dai finiani. La terza e la quinta avrebbero rappresentato il riconoscimento che nel Pdl esiste una questione morale, che i magistrati non hanno tutti i torti e che quindi l’attuale trio dei coordinatori va messo in crisi con le dimissioni come minimo di Verdini. La quarta metteva in dubbio la compatibilità economica del federalismo e andava contro Bossi. La seconda metteva in mora Tremonti e apriva a Bersani, verso il quale c’era un riconoscimento esplicito: «Bersani oggi alla Camera […] è stato convincente». In pratica Fini proponeva a Berlusconi di guidare un nuovo governo, di larghe intese o di passaggio o di emergenza, con una maggioranza che comprendesse anche il Pd e/o l’Udc. Il Cav non avrebbe mai potuto accettare.