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 2010  luglio 30 Venerdì calendario

SUD CHIAMA SUD


Le vecchie madrepatrie colo­niali non sono più i soli part­ner economici privilegiati dell’Africa. E da oltre un decennio, l’espansione tumultuosa della ’cooperazione Sud-Sud’ scombi­na i vecchi schemi, schiudendo al contempo nuove insidie e formi­dabili opportunità per i Paesi più poveri del mondo.

È un ritratto mosso e contrastato quello offerto nell’ultimo rapporto dell’Onu sullo sviluppo economi­co in Africa. Un ritratto ben lonta­no, in ogni caso, dagli stereotipi che dipingono un continente immobi­le ed eternamente attanagliato da gioghi neocoloniali.

Mezzo secolo dopo le indipenden­ze, i mercati dei Paesi africani non sono più ’riserve esclusive di cac­cia’, come solevano affermare un tempo certi affaristi e mediatori provenienti dalle nazioni coloniz­zatrici europee. I dati presentati dall’Unctad (Con­ferenza dell’Onu per il commercio e lo sviluppo) mostrano che i nuo­vi commensali economici dell’A­frica si chiamano Cina, India, Bra­sile, Turchia, Malesia. Paesi in ge­nere presentati, talora a ragione, come estremamente voraci e di­sposti quasi a tutto pur d’impos­sessarsi delle risorse naturali afri­cane: dalle terre arabili agli idro­carburi e minerali di ogni tipo. Ma anche Paesi con cui le capitali afri­cane, libere dai vecchi complessi postcoloniali, stanno in certi casi già elaborando scambi e accordi in­novativi, candidati forse ad impor­si come chiavi per un futuro di svi­luppo condiviso. Nel 1995, l’Africa scambiava anco­ra con il resto del ’Sud’ circa 34 mi­liardi di dollari di beni, servizi, in­vestimenti. Nel 2004, si era già sa­liti a 97 miliardi, prima di uno sto­rico balzo a 283 miliardi nel 2008, l’anno degli ultimi dati assodati for­niti dall’Onu. È poi giunta la crisi ancora in corso, con effetti profon­di in tutta l’Africa. Ma gli esperti ri­tengono che la tendenza di fondo alla diversificazione degli scambi africani non si sia invertita, nono­stante i rallentamenti prevedibili in termini di volume.

Nel 2008, con una fetta del 10,6% della torta, la Cina era già il secon­do partner commerciale africano, ancora nettamente indietro rispet­to agli Stati Uniti (15 per cento), ma già in fuga rispetto al plotone dei principali partner europei: Francia (8,3), Italia (6), Germania (5,6), Spa­gna (4,7) e Regno Unito (3,8). In­dietro ma con il vento in poppa, In­dia (3,5), Brasile (2,6) e Turchia (1,9) paiono in pieno inseguimento.

Al di là delle quote degli scambi, il rapporto dell’Onu scandaglia pure la qualità degli investimenti. Anche qui, non senza sorprese. Nel 2004, i nuovi partner del Sud avevano realizzato in Africa 52 progetti d’in­vestimento a partire dal nulla, sen­za cioè appoggiarsi su strutture lo­cali preesistenti. Nel 2008, si è giun­ti a 283 progetti, con una crescita dunque di oltre il 400 per cento in un solo quadriennio. Il carattere in­novativo di tanti scambi la dice lun­ga sulla crescente ventata di fiducia lungo l’asse Sud-Sud. Ai nuovi com­mensali, di fatto, non vengono of­ferti solo i piatti scotti o i resti scar­tati dai partner del Nord. Inoltre, sottolinea il rapporto, «la bilancia commerciale con la Cina, l’India e la Turchia è all’incirca in equili­brio »: un altro fattore che potrebbe cementare ancor più la fiducia lun­go l’asse Sud-Sud. Soprattutto se si considerano le parallele polemiche sempre vive in Africa sul protezio­nismo commerciale europeo e sta­tunitense in mercati come quello dei prodotti agricoli.

Non mancano nuove tendenze an­che estremamente inquietanti, co­me ad esempio le mire latifondia­rie in Africa già manifestate da Pae­si come Corea del Sud o Arabia Saudita. Inoltre, le materie prime «sono sempre più predominanti nelle esportazioni dell’Africa ver­so altre regioni in via di sviluppo, mentre i prodotti manifatturieri lo sono nelle sue esportazioni». In al­tri termini, non si sta uscendo dal vecchio schema del continente a­fricano come ’miniera planetaria’. Ma al contempo, il rapporto evi­denzia come gli aiuti allo sviluppo di tipo Sud-Sud siano «sempre più diretti verso i settori dell’infra­struttura e della produzione dei Paesi africani».

Secondo l’Onu, in definitiva, l’Afri­ca ha ancora moltissimo da ap­prendere prima di trarre profitto dal nuovo «sistema commerciale multilaterale». Ma il consolida­mento di quest’ultimo, in ogni ca­so, prosegue. Con sempre meno «scusanti coloniali» in vista, pro­babilmente, per le nuove genera­zioni africane.