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 2010  luglio 30 Venerdì calendario

YOUTUBE-SIAE, UN ACCORDO CHE TRAMORTISCE LA MUSICA

È comprensibile l’enfasi che la Siae ha voluto dare all’accordo con Google, la società proprietaria di YouTube, per tutelare il diritto d’autore dei musicisti e dei cantanti. È comprensibile perché l’accordo è un passo avanti rispetto al precedente quadro di assoluta pirateria. Ma solo per questo. Per il resto, proviamo a capire bene da che cosa nasce e che cosa nasconde. Dunque, l’accordo prevede che per ogni canzone pubblicata su YouTube autori e editori percepiranno un corrispettivo. Da uno a quattro millesimi di euro a clic. I clic «a pesare» saranno, ovviamente, quelli conteggiati da YouTube. A fiducia. Bene, per gli autori. Ma anche male. Perché da dove proverranno questi sia pur bassissimi introiti che deriveranno ai soci Siae? Dalle inserzioni pubblicitarie su YouTube. Che probabilmente ritoccheranno al rialzo i loro prezzi. Questo significherà, in concreto, una cosa molto semplice: che la formula «pay per view» (paghi per vedere) nella difesa della quale si erano arroccati da sempre i discografici contro la logica del «peer to peer», cioè dello scambio gratuito di file audio-video tra internauti, viene abbandonata a favore di una formula di blandissimo «revenues sharing» (spartizione dei proventi) pubblicitari. Tutto qui: come dire che non c’è più un «valore facciale» per il brano musicale, ma solo un valore d’uso pubblicitario. Nella migliore tradizione di opacità delle «major» internettiane, Google non ha reso noti i dettagli dell’accordo: si sa solo che il pagamento sarà commisurato all’«intensità di utilizzo», cioè al numero delle visualizzazioni di ciascun video. Ma la Federazione dell’industria musicale italiana ha detto che tra il 2007 e il 2010 il video su internet ha prodotto ricavi per le case discografiche di circa 5 milioni di euro. Una goccia nel mare del valore disperso nel web. Che fare? Niente: prenderne atto. Nel settore della musica (e in un altro, altrettanto grande per quanto non censito: quello del porno) l’impatto di internet è stato devastante e politicamente ignorato perché, diversamente da quanto sta accadendo nel mondo delle news, nessuno ha ritenuto di ergersi a difensore di diritti collettivi . Le major musicali hanno di fatto cambiato pelle, vivono producendo eventi dal vivo, si sono concentrate e guadagnano meno, molto meno. E quando Steve Jobs, il patron di Apple, ha detto recentemente che con la sua piattaforma di vendita online dei file musicali I-Tunes ha salvato la discografia, ha detto una verità simile a quella della Siae: l’ha salvata sì, ma al ribasso. Era impossibile fare di meglio, ma è giusto chiamare le cose con il loro nome.