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 2008  agosto 31 Domenica calendario

Annota Goethe, in viaggio per l’Italia: «Qui sono tutti in urto, l’uno contro l’altro, in modo che sorprende

Annota Goethe, in viaggio per l’Italia: «Qui sono tutti in urto, l’uno contro l’altro, in modo che sorprende. Animati da un singolare spirito di campanile, non possono soffrirsi a vicenda». Difetto nazionale, ma la Toscana ne fa un’arte. Sentite questa. Pisak è un villaggio sulla costa dalmata, ben noto al turismo italiano. Chi viaggia in auto da Spalato verso sud trova, uscendo da Omis, un cartello stradale: «Pisak 16 km». Quest’anno una mano ignota, ha sostituito la distanza con... ben altra espressione: «Pisak merdak». Mano ignota, ma certo livornese, perché solo un livornese può sentire l’urgenza interiore di scendere dall’auto nel bel mezzo della Croazia per fare, armato di bomboletta, una dichiarazione del genere! La reciproca insofferenza fra livornesi e pisani è proverbiale. Nel senso letterale: la ritrovi nei proverbi e nei modi di dire. A Livorno, niente di peggio che «fa’ vaini co’ Pisani». Rispondono a Pisa che: «i discorsi li porta via ’r vento, le bicirette i livornesi». Per non dire delle barzellette livornesi, dove il «pisano » corrisponde al «carabiniere». Ricordate quel titolo del Vernacoliere dopo Chernobyl? «Primi effetti della nube radioattiva: è nato un pisano furbo. Stupore nel mondo, sgomento in Toscana». Pisa e Livorno distano dieci chilometri. Poche città sono più vicine, ma poche più ringhiose nell’affermare l’una contro l’altra le rispettive identità. Freud lo chiama il «narcisismo delle piccole differenze ». LA STORIA DEI RISENTIMENTI. Peraltro, risentimenti che hanno radici profonde. Si risale al declino di Pisa come repubblica marinara, sconfitta dai genovesi alla Meloria (1284), scoglio al largo della costa livornese. Nome che resta di pessimo auspicio: «t’avessi ’n culo ti caerei alla Meloria», dicono ancora a Pisa, per spregio. Livorno era solo un villaggio di pescatori, che gli stessi pisani vorranno poi fortificare nel Trecento, in appoggio a Porto Pisano. Nel Quattrocento, quando Pisa stessa sta ormai nell’orbita medicea, i genovesi, ormai trionfanti sulla costa tirrenica, vendono sia Livorno che Porto Pisano agli odiati fiorentini. Si può immaginare qualcosa di peggio per l’orgoglio pisano? Ahimé sì. Col processo d’interramento subìto dal bacino di Porto Pisano nel Cinquecento, e col favore della politica medicea, Livorno diventa il porto principale della Toscana (e tale resta nel Granducato dei Lorena), mentre la gloriamarinara di Pisa non sarà più che un ricordo. È fatale: ci se la piglia sempre con chi sta a portata di mano. Così i pisani, anziché odiare Genova, ce l’hanno a morte con Livorno (che profittò della disgrazia) e con Firenze (che la favorì). Affettuosamente ricambiati, ovvio. Di nuovo, proverbi e modi dire la dicono lunga. Ci fanno capire quanto antichi siano certi localismi malanimosi, dove l’ostilità per il vicino risulta appena temperata dall’umorismo (e non sempre). Il Dittionario toscano di Adriano Politi (1640) è in ciò una fonte inestimabile. «Chiede a me de’ passi di danza è come chiede a un fiorentino della topa», ghigna beffardo il pisano. Cui risponde perentorio il fiorentino: «Meglio un morto ’n casa che un pisano all’uscio ». Quest’ultimo — pochi lo sanno — in origine non è un detto fiorentino né livornese, bensì di Lucca. La faccenda si complica: cominciamo a capire che in Toscana... tutti ce l’hanno con tutti! Di nuovo, la storia. PISA CONTRO LUCCA. Pare che schiere armate della Repubblica di Pisa fossero solite attaccare e saccheggiare la Lucchesia, con temibili scorrerie notturne. Era dunque meglio — ma per davvero, nel Medioevo—avere un morto in casa che «un pisano all’uscio ». Ecco perché la tradizionale risposta del pisano doc suona (con orgoglio): «provare per credere »; oppure, a rincarare la minaccia, «che il tuo dio ti ascolti»! Del resto, ancora si dice a Lucca: «far come i ladri di Pisa» (che di giorno leticano e poi, la notte, vanno insieme a rubare). Oggi non sono che spiritosaggini. Ma non è per scherzo che Dante (Inf. XXXIII) inveisce contro «Pisa vituperio delle genti»; ed è con odio vero che subito aggiunge: «muovasi la Capraia e la Gorgona / e faccin siepe ad Arno in su la foce / sì ch’elli anneghi in te ogni persona!». A questo punto ci si aspetta che Firenze e Lucca, come pure Firenze e Livorno, vadano d’amore e d’accordo. Non hanno in Pisa un nemico comune? Troppo semplice, per noi! Funziona un po’ tra Firenze e Livorno (ma l’ultimo tentativo di gemellaggio fra tifoserie calcistiche non è riuscito per ragioni «politiche »). Non funziona affatto tra Firenze e Lucca, di cui il fiorentino non apprezza che le donne: «pane di Prato, vino di Pomino, potta lucchese e cinci fiorentino». Quanto al resto: «alla fin di tanti guai, un lucchese ’unmanca mai». Dal canto loro i lucchesi, imparzialmente, fanno battutacce su tutti, livornesi inclusi (se ne volete qualcuna: www.laotenna.it). Anche Firenze ce l’ha con tutti. Ma, da capitale altezzosa del Granducato, soprattutto con i borghigiani delle campagne. «A Marradi, e’ semina fagioli e nascan ladri». Ce l’ha perfino, Firenze, con paesi che saranno presto raggiungibili col tram: «Peretola, Brozzi e Campi, la peggio genia che Cristo stampi »; «Signa maligna, né levaci nuora né mettici figlia». Per non parlare di Prato (che proprio campagna non è), di cui i fiorentini amano mettere in ridicolo la gorgia rafforzata. La quale, ben al di là della semplice aspirazione, comporta la totale sparizione delle c e t intervocaliche: «I’ son di Prao e vogl’esse’ rispettao, pos’i sasso e mang’i’bbao». Cioè il baco, che negli intendimenti dell’orgoglio pratese non è certo un verme qualunque, ma qualcosa di più consistente da esibire! L’accorto lettore capirà che non mi riferisco alle ciminiere degli opifici tessili: quelle cento ciminiere che, già nell’Ottocento, sospingevano lo storico Emanuele Repetti a descrivere Prato come «la Manchester della Toscana ». PRATO CONTRO PISTOIA. Allora: che rabbia per i pratesi vedere Pistoia, l’eterna rivale, diventare capoluogo nel 1927, mentre Prato resta in provincia di Firenze fino al 1992. Rivalità secolari di cui — le vie della Storia sono infinite! — restano tracce nel mondo del pallone. Dove la Toscana tutta e la stessa provincia di Firenze (con rare eccezioni, vedi Casentino) mostrano una inveterata ostilità contro la Fiorentina, squadra del capoluogo; e preferiscono, quando manchi in A una squadra locale, tifare per il Milan (come parecchi lucchesi e pistoiesi) o per l’Inter (come nel Valdarno) o per la Juve (come tutti gli altri). Ostilità cui viene opposto dalla Firenze calcistica un aristocratico disdegno, riassunto nel motto: «Quelli a strisce son di campagna». Disdegno che non esclude l’Empoli Fc, che pure non ha la maglia a strisce, ma rappresenta per i fiorentini l’incarnazione per eccellenza dei «cugini di campagna». Tanto che, in occasione di un derby Empoli- Fiorentina (i cugini erano appena tornati in A), la tifoseria viola inalberò un cartello irridente: «Dove l’avete preso lo stadio, al-l’Ikea? ». Per non dire del Siena, che veste l’odiata maglia bianconera. L’ostilità di Firenze verso la Juventus ha tante ragioni; ma si tratta anche e soprattutto di una faccenda interna alle rivalità toscane: la provincia contro il capoluogo, la regione contro la capitale. E viceversa. Non starò a ricordare con quali epiteti, non solo in Firenze, si evoca la Maremma. Sì, per mascherare talune brusche perplessità sulla verginità della Madonna; però anche con effettivo riferimento alla Maremma vera e propria (che impestò di febbri malariche chi ci passava prima delle bonifiche). INFINE, SIENA. E poi c’è Siena. L’unica che abbia fatto davvero tremare Firenze. Battaglia di Montaperti, 1260: "lo strazio e ’l grande scempio che fece l’Arbia colorata in rosso" (Inf. X). I fiorentini non cessano di dolersene, i senesi di goderne, ambedue di parlarne. Guelfi e ghibellini, 750 anni dopo. Ma si può? La rivalità fra le due resiste ai secoli, e non disdegna malevolenze anche aspre. "Siena, di tre cose tu sse’ piena: di torri, di campane e di figli di puttane ». Volgarità guelfe cui il ghibellino risponde con signorile distacco. Convinti di essere il centro del mondo, i senesi si chiudono — come e più dei fiorentini — nella contemplazione della grandezza perduta. Solo un senese doc, che abbia bevuto l’acqua di Fonte Branda, può chiedersi in tutta serietà se non sia Siena «quella farfalla il cui battere d’ali può scatenare un uragano all’altro capo del mondo» (cito dal sito della Chiocciola). Fate la prova: mettete insieme un fiorentino e un senese. Due persone sobrie e beneducate, aliene da volgarità e megalomanie. Bene che vada, si metteranno a leticare su chi parla meglio italiano. Uniti in ciò, e solo in ciò, dal comune dispregio per gli altri toscani: «barbari» tutti. A cominciare dagli aretini, si capisce, cui si rimprovera il massimo difetto: non essere né fiorentini né senesi. Per finire con Massa e Carrara, dove parlano notoriamente «ostrogoto »! IL PERCHE’? TANTI CAMPANILI. Perché tutto ciò? Certo, l’Italia intera è nota come «paese delle mille città»; ma la Toscana in questo batte tutti. Nel Tre-Cinquecento la Lombardia è sostanzialmente già una: tolta Mantova, un solo Ducato, prima visconteo poi sforzesco, unisce tutti. Lo stesso in Sicilia e altrove. In Toscana invece le rivalità si protraggono. E restano nel costume, nella cultura. Patrimonio di differenze, però anche fonte di spiritelli polemici: «montapertismo», lo chiama qualcuno. Che si ripercuote, oggi, perfino all’interno dell’ente Regione, dove gli equilibri geografici non contano meno di quelli politici. La memoria dei popoli è strana. I «quadri sociali della memoria collettiva » hanno bisogno di mediazioni simboliche, talora perfino di distorsioni leggendarie. Grazie ad esse — spiega Halbwachs — un evento sarà ricordabile solo se «memorabile ». Però: per costruire leggende e consolidare simboli, ci vuole tempo. Ecco perché nella coscienza popolare nulla resta di quanto successo pochi anni fa (con gran felicità di chi abbia governato male), ma solo importa quanto accade oggi stesso e... quanto accadde cinquecento- mille anni fa! Magari a Montaperti. D’altronde, quante faccende premono invece, che esigono ormai una visione d’insieme! Come realizzare la «città metropolitana» (lo prescrive, dopo la riforma del 2001 l’art. 114 Cost.); come riorganizzare il trasporto aereo; come coordinare il credito regionale; come pervenire a un vero «sistema universitario regionale». E tante altre. Allora, «maledetti toscani»: finché si scherza si scherza. Ma quando si parla di cose serie, non sarebbe l’ora d’abbozzarla? Sergio Caruso *Docente di Filosofia delle scienze sociali, Università Firenze Usi e costumi