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 2010  agosto 30 Lunedì calendario

DALLA “TIGRE CELTICA” ALLA CRISI FUGA DI MASSA DALL’IRLANDA

La “tigre celtica” è diventata un gattino indifeso e spelacchiato. Senza le “unghie” capaci di graffiare l’economia globale con una crescita del Pil da Paese asiatico, l’Irlanda non è più la terra promessa per chi deve arrivare dall’estero ma soprattutto per i suoi cittadini, che in numero sempre più alto fanno le valigie e se ne vanno. E di irlandesi che hanno lasciato la loro "isola di smeraldo" ce ne sono stati tanti nella storia, in particolare durante la terribile carestia ottocentesca che ha spinto milioni di persone a giocarsi tutto prendendo una nave diretta verso l’America. Oggi non ci sono più quegli emigranti che se ne stavano stipati in terza classe per arrivare (se tutto andava bene) dopo settimane dall’altra parte dell’Oceano, ma gli ultimi dati di Eurostat fanno comunque preoccupare. Nel 2009, l’Irlanda è stata, di gran lunga, il Paese europeo che ha perso più persone in quell’"emorragia" di emigranti: sono andati verso economie migliori, soprattutto alla ricerca di un lavoro che avevano perso o non avevano mai trovato. Sono stati 40 mila, quasi il doppio rispetto a quelli che hanno lasciato la Lituania, la seconda realtà con più emigrati dell’Ue. Ma questo, come dicono gli esperti, è solo l’inizio. In base a una proiezione, se continueranno le grandi difficoltà che attanagliano l’Irlanda, a partire dal suo sistema bancario che si regge sulle stampelle dopo il collasso della crisi finanziaria arrivata dall’America, circa 200 mila persone, in un Paese di 4,5 milioni di abitanti, andranno via entro il 2015.
E chi se ne va non sono gli immigrati dell’Est Europa che tornano in patria dopo aver fatto i soldi: il fenomeno c’è, come del resto anche nel Regno Unito, ma non spiega questa ondata migratoria. A fuggire sono soprattutto i giovani maschi irlandesi che, con una disoccupazione che galoppa inarrestabile al 13%, non vedono nessuna prospettiva e preferiscono cercare lavoro altrove. Alle spalle non lasciano nulla di interessante: le famiglie sono piene di debiti, si sono ritrovate con le case che hanno perso valore, mentre il governo pensa ai tagli e a mettere mano a quel sistema fiscale generoso che aveva fatto la fortuna dell’isola. Tante critiche sono andate al Fianna Fail, partito che da più di dieci anni guida il Paese. I laburisti dicono che sono andati in fumo i progressi fatti da loro quando erano al potere, con l’economia che balzava in avanti e Dublino che era diventata la città ideale in cui trovare lavoro.
C’è, comunque, qualche timido segnale di ripresa. L’Irlanda è uscita ufficialmente dalla recessione, con una crescita del Pil pari al 2,8% nel primo trimestre dell’anno, ma gli esperti restano comunque pessimisti. E così tornano, anche se in forma minore, gli spettri di un passato che ha segnato per sempre una nazione. La grande carestia, fra il 1845 e il 1849, uccise oltre un milione di persone. Quella tragedia diede l’avvio a una migrazione biblica verso le Americhe e
ridusse di un quarto la popolazione. Nel 1840 sull’’’isola di smeraldo’’ vivevano otto milioni di irlandesi, dieci anni più tardi erano meno di sei milioni. Quel disastro gettò benzina sul fuoco dell’inestinguibile odio degli irlandesi per i coloni britannici, che possedevano il 75 per cento della terra coltivabile. Mentre il raccolto delle patate, colpite da una malattia, marciva sui campi, privando la popolazione indigena del suo alimento base, i proprietari terrieri continuavano ad esportare in Inghilterra bestiame, prodotti agricoli e cereali, e Londra rimaneva del tutto indifferente a quella strage che si consumava sull’altra sponda del mare d’Irlanda. Oggi al posto delle patate ci sono i microchip e gli inglesi non sono più così tanto odiati, ma resta il terrore di dover andare altrove per poter sopravvivere.