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 2010  luglio 30 Venerdì calendario

La mamma assassina: “Uccidevo i figli da sola” - Il giovane procuratore di Douai, Eric Vaillant, sceglie le parole con cura, si vede che cerca di avvolgere lo spaventoso avvenimento in un velo inamidato

La mamma assassina: “Uccidevo i figli da sola” - Il giovane procuratore di Douai, Eric Vaillant, sceglie le parole con cura, si vede che cerca di avvolgere lo spaventoso avvenimento in un velo inamidato. Ma non riesce a cristallizzare gli atti le ammissioni le circostanze in un diffuso grigiore, a far perdere la loro terribile vita: «La signora Dominique Cottrez ha riconosciuto di aver volontariamente soffocato i suoi otto neonati al momento del parto. Ha spiegato che non voleva più bambini e non voleva incontrare un medico per utilizzare un metodo contraccettivo. Il suo primo parto era stato difficile a causa della sua corpulenza e per questo non voleva più vedere medici. Ha vissuto le gravidanze da sola e da sola ha provveduto ai parti. E’ quello che ci ha raccontato». La vicenda, dunque, è chiusa, c’è una verità per il più grave infanticidio della storia giudiziaria francese: otto neonati uccisi dalla madre dal 1998 al 2006, forse 2007. Dominique Cottrez è stata incriminata per omicidio volontario. Il marito Pierre-Marie, che lei stessa ha discolpato da ogni responsabilità anche accessoria, è tornato a casa nel piccolo villaggio di Villers-au–Tertre, nel Nord della Francia. Si prepara a battersi, a fianco delle figlie, per lei. Martedì, quando li hanno arrestati e la donna ha confessato, ha scoperto di aver camminato nella vita con una persona che non conosceva. I legami che credeva di avere con lei, visibili e invisibili, sono scomparsi, strappati. Solo battendosi per lei può tentare, probabilmente, di non essere soffocato dal vuoto che gli è toccato in sorte. Il magistrato prende fiato e aggiunge: «Restano numerose indagini da fare per tentare di capire, senza giustificare, che cosa ha condotto la signora Cottrez a agire in questo modo». Entrano in scena ora gli esperti, gli psichiatri, i medici, che dovranno bilanciare la responsabilità penale: per fortuna talvolta più stretta e clemente del nostro rifiuto assoluto dell’orrore, di ciò che è «fuori norma», come ha detto Viaillant. Che ha giudiziosamente evitato il comodo aggettivo: «mostruoso». La confessione totale, frenetica della donna, ci ha privati del facile paravento del «rifiuto di gravidanza», la sindrome che spinge le donne a rifiutare il bambino che hanno concepito. E spesso a uccidere. «E’ un movente che non è stato evocato – ha precisato il giudice -. Ci ha detto che aveva perfettamente coscienza di essere incinta, ogni volta. Lo ha riconosciuto rapidamente; lei stessa ci ha messo sulla pista dei altri sei cadaveri che erano nascosti nel garage di casa». Sola, dunque, questa donna di 45 anni, infermiera volontaria, ossessionata dall’essere grossa, riservata quanto invece il marito, artigiano nell’edilizia, è espansivo, generoso, presente in consiglio comunale e in tutte le attività di questo paesino di 700 abitanti, lindo perbene, tranquillo. Dove nessuno riesce a ricordarsi, neppure sforzandosi, nel passato un episodio di cronaca nera che potesse incuriosire i giornali. Sola con i suoi fantasmi e la sua assopita coscienza di madre, come sotto anestesia, quasi avesse traslocato da un piano della vita a un altro. Madre di due figlie ormai grandi, nonna di nipotini che adorava. Nascondeva la gravidanza per nove mesi e poi partoriva di nascosto. E uccideva. Otto volte, per otto anni in una sequenza che sembra automatica, «normale». Fuori dalla villetta la vita del paese scorreva con calma, i Natali, le feste di primavera, il 14 luglio con la cerimonia davanti al monumento ai caduti del ‘14-‘18, così lucido che sembra appena uscito dalle mani dello scultore. E in casa le visite delle figlie e i bambini, i compleanni, i regali, le torte della nonna, con le candeline, gli strilli, la confusione allegra. I feti li nascondeva senza molta cura, due appena sotto un velo di terra nel giardino e, dopo che avevano cambiato casa, nella rimessa, sei chiusi in sacchi gettati sotto le cassette dei bulbi o dietro gli attrezzi da giardino. Se i nuovi proprietari della prima casa non avessero deciso di scavare nel prato, forse nessuno si sarebbe mai accorto di nulla: «Quando mia moglie ha aperto il sacco che avevamo dissotterrato per caso – ha raccontato l’uomo - credevamo fossero dei gattini morti e stavamo per gettarli via». C’è nell’orrore più estremo sempre una nota grottesca.