Andrea Purgatori, Vanity Fair n.30 4/8/2010, 4 agosto 2010
LA SPIA CHE AMAVA YOU TUBE
Mi scusi, ci siamo incontrati in California, la scorsa estate?» «No, credo fosse agli Hamptons».
Che fine abbia fatto Anya la Rossa, nessuno lo sa. L’ultimo occidentale a vederla è stato il funzionario dell’Fbi che l’ha accompagnata alla scaletta del jet russo parcheggiato sulla pista dell’aeroporto di Vienna. Accanto all’altro jet su cui sono saliti i quattro agenti americani scambiati coi dieci della rete di spie del Cremlino, smantellata negli Stati Uniti lo stesso giorno in cui Obama e Medvedev addentavano l’hamburger della pace.
A Mosca fa caldo. Probabilmente Anya starà nuotando nell’acqua fresca di qualche lago, ospite di una dacia del governo. Ma non reciterà nel film porno che le era stato proposto da una società di produzione britannica. Non per una questione di fisico o di scarsa attitudine alla materia (secondo l’ex marito, era un genio del sesso creativo). Il fatto è che non sono più i tempi del Kgb grigio e severo di Yuri Andropov, ma a tutto c’è un limite. E il limite, Anya l’aveva passato da un pezzo. Persino su YouTube.
Volete ascoltarla? Digitate. Struccata e professionale, occhio alla camera, vi spiegherà quale era la sua idea: «Creare un progetto che unisca Mosca a New York, le due città più importanti per me» (missione riuscita). Volete scoprire le sue qualità sadomaso? Digitate. La scoprirete allungata sul letto con un colbacco azzurro in testa, un frustino stretto nella mano destra e un giocattolo erotico nella sinistra (naturalmente, tette al vento). Anya Kushchenko è sempre stata ambiziosa. Ma, soprattutto, figlia d’arte. Suo padre Vasili è un diplomatico di carriera. In realtà, un agente di rango del servizio segreto russo. L’Svr, erede del Kgb. Anya cresce da figlia della nomenclatura, studia bene, frequenta e viaggia. Parla inglese perfettamente. Il nepotismo nel Circo delle Spie è garanzia di continuità. E poi, come diceva quello, spiare è sempre meglio che lavorare. Così, a diciannove anni Anya atterra a Londra, in una discoteca conosce un tale Alex Chapman che fa l’artista e studia Psicologia, ci passa un paio di mesi di sesso sfrenato, viene cooptata nel Mile High Club (la «confraternita» del sesso in quota) facendosi beccare da una hostess con le gambe intrecciate sulla sua schiena nella toilette di un volo della British per Mosca, se lo sposa e lo porta nello Zimbabwe da papà.
Alex non deve fare una grande impressione a Vasili, che per sua figlia ha altri progetti. Ma si sa, l’amore. E Anya ci passa insieme altri tre anni. La sera si sparano i film di James Bond, poi a letto giocano alla spia russa (lei, guarda un po’) che interroga a suon di scudisciate l’agente occidentale (lui, che forse se lo merita). Comunque, alla lunga noia. E divorzio. Ma adesso Anya ha un passaporto in più (quello britannico) e chiede e ottiene di poter usare il cognome del quasi artista che vorrebbe fare lo psicologo. Alex accetta. Così Anya Kushchenko diventa Anna Chapman. E un posto nell’Svr non glielo leva più nessuno. Destinazione New York.
Il destino peggiore per una spia? Innamorarsi del nemico. Anya adora l’America, e adora Manhattan. «Che posto speciale, può capitarti di finire seduta in un bar tra un manovale e un miliardario», racconta su YouTube. Naturalmente a lei capita di finire seduta accanto al miliardario (svizzero). Diventa la sua amante, ma poco. Quando si lasciano si fa regalare un anello da ventiseimila dollari. Intanto ha messo in piedi una società immobiliare e informatica. Così praticamente può avvicinare chiunque e comunicare con chiunque senza destare sospetti. La copertura perfetta.
Nella rete delle spie russe in servizio tra New York, il Massachusetts e la Virginia le tocca fare di tutto. Scambia informazioni con gli altri agenti girando la città col portatile, inserisce messaggi in codice nelle pagine web di pubblico dominio, usa l’inchiostro simpatico per lasciare qualche frase su un libro. Ma le mille luci di Manhattan solleticano il suo esibizionismo. Allora sono altre foto e interviste video (a se stessa) su YouTube. Da spia si sta trasformando in una groupie. E le groupie, è storia del rock, prima o poi qualche guaio lo combinano.
L’8 maggio si presenta alla tradizionale serata di beneficenza organizzata dalla Fondazione dei vigili del fuoco. La notano tutti. È rossa di capelli, indossa un vestito rosso corto e stretto sui fianchi e aperto sul seno. Che cosa fosse andata a fare in mezzo ai pompieri di New York, all’Fbi ancora se lo domandano. Forse puntava Louis R. Chênevert, presidente della United Technologies e ospite d’onore. Forse Stephen L. Ruzow, presidente della Rachel Roy. O addirittura il sindaco Michael R. Bloomberg? «Speriamo ne vengano parecchie di spie così», dirà poi Ruzow.
Però siamo agli sgoccioli. Ormai è pedinata stabilmente. Ma Anya non se ne accorge. Continua a fare il doppio lavoro, continua a regalare prove su prove all’Fbi. E una domenica di sole e d’estate viene arrestata. Dicono che si sia messa a piangere, più per l’idea di dover lasciare New York che per la figuraccia rimediata col padre. Ai tempi del Kgb di Andropov, scoperta e rimpatriata, sarebbe finita a controllare l’ascensore di qualche miniera in Siberia. Invece la porta-
no di peso a Vienna insieme ai suoi nove colleghi, la mettono sull’aereo per Mosca e arrivederci alla prossima. Prima di sparire, le hanno concesso di parlare al telefono con Alex, a cui l’MI5 aveva appena perquisito la casa. «Sono successe tante cose cose e non mi stupisce che accadano anche lì», gli ha detto. «Succede dappertutto. Non preoccuparti». Clic. Ma riapparirà. Perciò, se un giorno vi capitasse di essere avvicinati da una rossa che parla perfettamente inglese, e se questa rossa vi chiedesse se per caso l’estate scorsa vi siete incontrati in California, ricordate la risposta in codice per farvi riconoscere. Sa un po’ di Scott Fitzgerald al ketchup, ma secondo l’Fbi con Anya funziona: «No, credo fosse agli Hamptons». Dopodiché, tanti auguri.