Camilla Strada, Vanity Fair n.30 4/8/2010, 4 agosto 2010
ALLEVO LA TROTA
L’ho tenuto in braccio da bambino e me lo ricordo quando, piccolissimo, seguiva il padre in politica. C’è una foto che lo ritrae al congresso del 1991, quello storico che ha segnato l’uscita di Franco Castellazzi dalla Lega: Renzo aveva 3 anni ed era già in prima fila. L’ho visto crescere e sono contento perché si sta affermando, sulla scia del padre».
«Delfino» di Umberto Bossi, grande amico di suo figlio Renzo, Marco Reguzzoni è l’enfant prodige della Lega Nord: entrato ancora minorenne nel partito, a 23 anni era già segretario provinciale di Varese e organizzatore della festa nazionale, a 31 è diventato il più giovane presidente di Provincia (sempre quella di Varese) mai eletto in Italia; poi riconfermato nel 2007 con il 69% dei voti, un plebiscito. Adesso di anni ne ha 39, è sposato con Elena, 35, e ha due figlie, Carolina, 4 anni e mezzo, e Beatrice, 21 mesi. Azionista di un’impresa di biotecnologie, dal 2008 è deputato e da aprile capogruppo della Lega alla Camera. Anche qui, il più giovane.
Che legame c’è tra voi? Renzo ha dichiarato a Vanity Fair che lei è la persona con cui si trova umanamente meglio nella Lega, che parlate molto.
«Abbiamo un rapporto dialettico: io gli dico quello che penso, lui fa altrettanto. Insomma, in tutti questi anni passati insieme è nata una bella amicizia, ma ogni tanto litighiamo, come tutti».
L’ultima discussione?
«Probabilmente domani».
Lei si considera il suo padrino?
«Non ne ha bisogno».
Beh, però darà dei consigli a Renzo, con tutta la sua esperienza amministrativa. «Io sono un anarchico, è difficile che dia consigli. Al massimo gli dico: io questa cosa la farei così. Basta. E comunque, ripeto, Renzo non ne ha bisogno. La leadership naturale non gli manca e dal punto di vista mediatico è fortissimo. Non dimentichiamoci che ha solo 22 anni».
Sì, certo, ma è un personaggio anche perché è il figlio di Umberto. «Quanti “figli di” ci sono in giro che hanno fatto quello che ha fatto lui? Ha preso 12 mila preferenze in una provincia che non è la sua: Brescia».
Beh, con il cognome che ha, non sarà stato poi così difficile. «I nostri sono gente pragmatica, non è che ti votano perché sei “figlio di”. E poi si sta muovendo bene: per esempio, ha fatto una mozione approvata nel consiglio regionale a tutela dei nostri ambulanti, quelli in regola e che pagano le tasse. Lui è uno molto concreto, e i bresciani l’hanno capito».
Per lui si era parlato di un incarico legato alla Expo di Milano: gli stanno cercando un posto sicuro? «Volendo, c’erano mille modi per sistemarlo: alle Regionali, invece, Renzo s’è dovuto prendere le sue preferenze, a differenza di chi si candida in Parlamento, per esempio. Un altro, che non fosse un vero leader, avrebbe deciso di candidar-
si nel listino bloccato. Era così semplice: elezione sicura». Quindi Renzo è pronto per prendere le redini del partito?
«Il segretario della Lega si chiama Umberto Bossi». Però Renzo sta studiando da leader. «Diciamo che è il futuro».
Ormai lei, per Bossi, è uno di famiglia. Quando è stato male, nel 2004, era uno dei pochi che gli è rimasto sempre vicino. «Ogni giorno, all’ospedale di Varese, c’era l’assalto di giornalisti e curiosi, io me ne stavo lì in corsia, a fare il “buttafuori”. Questo per qualche settimana, poi, per fortuna, è stato trasferito in Svizzera».
Come vi siete conosciuti?
«In un incontro pubblico sulla scuola, a Busto Arsizio. Avevo 15 anni, ero rappresentante di istituto: mi sono subito innamorato del suo progetto sulla scuola, con programmi e materie finalmente legati al territorio, e approfondimenti sulla storia del ’900. Abbiamo vissuto tutti gli anni ’90 a stretto contatto, Bossi è stato il miglior maestro che potessi avere».
C’è anche l’altro figlio, Roberto Libertà, che a 19 anni scalpita per avere un posticino. «Al momento sta studiando tutt’altra materia, agraria, non mi risulta che voglia lanciarsi in politica».
Tutti questi «figli di» non danno fastidio a un partito di «puri», anti-casta per eccellenza, come il vostro? «La nostra è una battaglia contro il centralismo, una partita di riforma dello Stato. E, quando tu hai un esercito, conti su tutti i tuoi elementi: se Renzo è un elemento importante per questa battaglia, e lo è, perché non dovremmo puntare su di lui? Perché è figlio di Umberto? No, anzi: ha vissuto dall’inizio la Lega, e ha avuto davanti un modello d’eccezione. E poi ce l’ha nel Dna, la lotta per la libertà».
Ultimamente, però, avete un po’ abbassato la guardia. Dall’inchiesta sul G8 ai casi Scajola, Brancher, Cosentino, non vi sentite in imbarazzo come alleati del Pdl?
«Avremmo volentieri evitato il caso Scajola. E comunque, alla fine, si sono dimessi tutti e tre, mi pare. Noi siamo qui per portare avanti un programma che interessa alla gente: io devo andare davanti ai miei elettori a dire che abbiamo fatto la legge sul tessile, difeso i nostri ambulanti nei mercati, protetto gli agricoltori della Pianura Padana, fermato i flussi di migrazione, fatto la riforma del fisco, semplificato la vita della gente eliminando le leggi inutili. Ci interessa fare le cose, punto».
E, per farlo, siete disposti anche a nuove alleanze?
«No: al momento c’è l’alleanza tra Bossi e Berlusconi che regge, forte e salda, e porterà a termine la legislatura». Bersani, quindi, non è un vostro interlocutore? C’è stato però un incontro tra lui e Bossi.
«Noi dobbiamo parlare con tutti, dalle forze dell’opposizione a quelle economiche e sociali, perché dobbiamo convincere tutti, al Nord e al Sud, il lavoratore dipendente come l’imprenditore, che il federalismo fiscale è buono e giusto».
A vedervi da fuori, in realtà, l’unità della Lega sembra vacillare: Calderoli smentisce Bossi su Brancher, Maroni ammette che il partito ha dei problemi e Bossi lo zittisce.
«Non sono questioni che portano a una rottura. E, comunque, trovano tutte in Bossi un’unica soluzione. Maroni ha lavorato bene nella lotta all’immigrazione, con Zaia ministro dell’Agricoltura abbiamo difeso i nostri produttori, Calderoli si sta dando molto da fare nel processo di soppressione di leggi ed enti inutili. Ognuno di noi ha delle caratteristiche particolari, ma riusciamo a fare un gioco di squadra straordinario perché abbiamo un capitano che sa gestire bene il gruppo».
E quando non ci sarà più il capitano?
«Il capitano c’è. E poi il futuro è assicurato, no? L’abbiamo detto prima...».