GIANNI CLERICI, la Repubblica 29/7/2010, 29 luglio 2010
LA NOTTE DELLA CORRIDA
In tutte le grandi civiltà del passato, l´iniziazione religiosa coincide con l´inizio della virilità.
I cattolici hanno creduto di sostituirla con il battesimo, cerimonia forse utile, ma piuttosto incomprensibile al neonato.
Nella attuale società contemporanea della razza bianca, si rinvenivano, sino a ieri, labili e per lo più incomprensibili tracce di un passato dimenticato.
Per riferirmi alla mia propria esperienza, eccomi seduto su una panca dello spogliatoio di Wimbledon. È il mio primo torneo e, ai due amici che mi interrogano, rispondo di aver perso, chissà come, da un cane che già avevo battuto facilmente due volte, sulla terra rossa.
«Sarà stata l´erba» credo di concludere, trovandomi una scusa.
I due amici che ho di fronte sorridono. Si chiamano Torben Ulrich e Gil de Kermadec. Sono tennisti insoliti.
E anche tipi insoliti. Il primo, danese, è oggi un guru, amico personale del Dalai Lama. Il secondo sta studiando su se stesso l´Alzheimer con l´aiuto di una psichiatra affascinata. Hanno insieme deciso che, contro l´attuale dottrina, la malattia si possa guarire.
Ma siamo a Wimbledon degli Anni Cinquanta. Torben e Gil mi guardano, sorridono, e, infine. «Non hai superato la prova di iniziazione. Wimbledon rappresentava per te qualcosa di più di un torneo, ma non lo sapevi né ancora lo sai. L´unica - aggiungono - è che tu venga con noi, alla Feria di Pamplona. Mai vista, una corrida?».
La mattina seguente caricavo le mie racchette sulla vecchia Citroen che ci avrebbe portati a Pamplona. E, lì sbarcati, alloggiati in Calle Estafeta nell´Appartamento di un grande letterato francese, Kleber Haedens, avremmo indossato i nostri abiti da tennisti, a quei tempi candidi, per alzarci all´alba seguente, e trovare posto, insieme a un altro migliaio di biancovestiti, alla partenza della Cuesta de Santo Domingo, nell´ipotesi di precedere, o fiancheggiare, i tori nella loro corsa verso la Plaza.
Mai visto un toro da vicino? Una bestia da cinquecento chili, la cosa più affascinante e terribile che abbia visto da vicino insieme a un pescecane durante la pesca subacquea. Mi passarono a fianco in sei uno dopo l´altro, ed ero ancora più affascinato che terrorizzato sinché, all´ultimo del branco, rischiai una carezza sul manto sudato. Si voltò un istante, ci guardammo negli occhi, e poi lui decise non io non valessi la pena di una sosta, una cornata, e passò oltre. Come alfine, passati i tori, raggiunsi la Plaza, appresi che ventisette dei miei occasionali compagni erano stati feriti. Due di loro sarebbero morti.
Quel pomeriggio avrei visto il mio toro evoluire nella Plaza, fronte a Antonio Ordóñez, sinché nemmeno la sua valentia l´avrebbe sottratto al destino di tutti i tori da combattimento, una razza che ancora non si è estinta solo perché destinata alla corrida.
Dovevo, da quel giorno, appassionarmi alla corrida, sino a divenire quel che in Spagna si chiama aficionado. Dovevo assistere a molte corride, aver l´onore di conoscere Dominguin e, più tardi, di scrivere il suo necrologio. Di ascoltare addirittura da Hemingway una racconto che avrei rozzamente inserito in un libro, "Zoo", per mia fortuna a sua insaputa.
Ciò detto, mi si consenta una opinione, del tutto personale, sulla decisione presa oggi dai rappresentanti dei miei amici - ne ho più d´uno - catalani. L´abolizione della corrida in Catalogna. L´abolizione del rito in cui l´uomo si ritrova di fronte a quello che rappresenta, insieme, la brutalità e la morte, e riesce a sconfiggerle, con il coraggio, l´intelligenza, il dominio di sé.
Quei politici hanno creduto all´opinione degli animalisti che ritengono la corrida una incivile crudeltà, ignorandone la storia e i simboli.
Mi domando quanti di essi abbiano mai visitato un macello, o ancor meglio una fabbrica in cui i suini entrano camminando ed escono da una catena di montaggio trasformati in salami.
Mi domando quanti di essi siano rigidamente vegetariani.
Mi pare infatti non solo tollerabile, ma estremamente logico che chi ha voluto prendere una decisione creduta banalmente moderna non si permetta mai più di inghiottire un boccone di carne.
Fossi un cronista spagnolo li seguirei al ristorante, i politici, per fotografarli, e svergognarli per la loro ipocrisia.
Adoro la Catalogna, ne conosco un poco la lingua, che non oso definire dialetto. Sono stato ospite di amici tennisti a partire dai miei vent´anni, e tuttora mi incanta la compagnia di colleghi giornalisti, durante i tornei di tennis.
La Catalogna è intrisa di qualità che certo ne fanno un esempio tra molte altre regioni europee. Aver abolito un rito antichissimo e simbolico quale la corrida, senza al contempo vietare il consumo della carne, l´uccisione meccanica degli animali, è un atto non meno incivile che iniquo.