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 2010  luglio 29 Giovedì calendario

BANCAROTTA, ARRESTATI WALTER E GIOVANNI BURANI - MILANO

Sembra che di moda all´interno della Mariella Burani se ne occupassero poco - del resto non rendeva molto - e che l´attività principale fosse la finanza. Una piccola Parmalat, un mostro di artifici, la definiscono i pm Luigi Orsi e Mauro Clerici, perché le numerose operazioni finanziarie degli ultimi quattro anni sono servite più ad abbellire il bilancio che a perseguire una reale strategia industriale. Fatto sta che la società è fallita, il fondatore, Walter Burani, è finito agli arresti domiciliari e il figlio, considerata la vera mente finanziaria, in carcere.
Insieme, fino all´ultimo avrebbero cercato di salvare il salvabile, senza però mai mettere mano alle proprie risorse personali. Sarebbero bastati 50 milioni per imboccare la strada di un accordo con le banche per la ristrutturazione del debito. Ma quei soldi, nonostante svariati annunci al mercato, non sono mai arrivati. Eppure quei soldi forse c´erano, come ricostruisce l´ordinanza del giudice Fabrizio D´Arcangelo che ieri ha convalidato gli arresti. In una telefonata del novembre 2009 con Ubs, Giovanni Burani parla di un bonifico del padre da 20 milioni di euro («L´importo è di 20 milioni per uno smobilizzo fatto da lui»). Così come c´erano diversi beni che oggi sembrano spariti: «Per recuperare un credito - ha messo a verbale un testimone - ho proposto a Burani di vendere le automobili d´epoca che collezionava. Per una Ferrari LeMans avevo trovato un acquirente a 7 milioni di euro, ma Walter non solo non mi rispose, ma ha fatto scomparire le auto, nel senso che non le ho più viste nel garage aziendale».
La famiglia ha preferito cercare finanziatori esterni, prendendo contatti con fondi (l´americana Zeno group investments e la libanese Gulf Finance) e con personaggi ritenuti «ambigui» dai giudici, come Antonino Calogero, pluripregiudicato per truffa, appropriazione indebita, riciclaggio, associazione a delinquere e reati finanziari. Da un´altra telefonata del dicembre 2009, a ridosso del crac, emerge una trattativa tra Giovanni e un agente per l´acquisto di un appartamento da 17 milioni di euro a Montecarlo. Tutte manovre che hanno spinto i giudici a concedere le misure restrittive, che a giudizio della difesa (gli avvocati Giovanni Dedola e Stefano Borrella), però, appaiono forse eccessive. Padre e figlio sono lontani dalle società, ormai in mano ai commissari, e quegli stessi fatti sono limitati al disperato periodo in cui si tentava di evitare il fallimento.
Le ricostruzioni dei consulenti e le testimonianze dell´ex direttore finanziario, Giuseppe Gullo (difeso dall´avvocato Ermenegildo Costabile) mettono comunque in fila le spericolate operazioni sui bilanci. Cessioni false di marchi, partecipazioni, titoli, ma anche aumenti di capitale e offerte d´acquisto, che hanno dissipato il patrimonio. Solo per sostenere il valore delle azioni in Borsa, i Burani avrebbero buttato 38 milioni di euro. L´acquisto del 15% della società quotata fu esoso: 17,5 euro per azione quando in realtà valeva tra i 6,8 e i 7,9 euro. E i consulenti? «Mediobanca, Studio Fontanesi, Centrobanca, Banca Euromobiliare hanno considerato le risultanze contabili della Mbfg come un dato oggettivo senza mai metterne in dubbio l´intrinseca veridicità». Per di più a Centrobanca che ha finanziato l´Opa con 45,8 milioni sono state concesse garanzie pari a 6 volte l´impegno preso.