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 2010  luglio 29 Giovedì calendario

«LA FUGA DI PAPA’ IN ARGENTINA DURATA 15 ANNI»

Un uomo va a cercare lavoro in Argentina lasciando la moglie giovanissima e un figlio di pochi mesi. Ci resterà quindici anni, e per quasi tutto quel tempo non darà più notizie, non risponderà alle lettere. Cosa ha fatto quest’uomo in Argentina? Si è fatto un’altra famiglia, ha avuto altri figli? Lui, al ritorno, non dice niente del suo passato. Il figlio, da grande, cercherà di sapere, farà domande, va in Argentina. Senza arrivare a niente. Quindici anni della vita di Giuseppe Amelio rimangono segreti, un segreto che il figlio, il regista Gianni Amelio, ha ereditato. «Avevo quindici anni. Mio padre era tornato dall’Argentina da appena due giorni. Mia madre gli dice: esci un po’ con tuo figlio. Così andiamo sul corso, e passiamo davanti all’edicola dove è esposto il numero di Cinema nuovo con in copertina la foto di Jeanne Moreau in Ascensore per il patibolo. Volevo quella rivista (e quella foto), ma costava 400 lire. Mio padre era arrivato senza portarmi nessun regalo, io gli chiedo di comprarmi quel giornale. Ma lui mi risponde: "Con i soldi ci si compra il pane, non la carta". Quel giorno, l’ho odiato con tutte le mie forze». Ricorda, Gianni Amelio, un episodio del 1960 che ha raccontato anche nel libro Un film che si chiama desiderio. A Fiesole, dove ha ricevuto il Premio Maestri del cinema, parla molto del nuovo film di cui ha da poco terminato le riprese in Algeria (è tratto dal libro postumo, autobiografico di Albert Camus, Le premier homme): anche qui c’è una figura di padre assente, ma Lucien Auguste Camus era morto al fronte, nel 1914, quando Albert aveva solo pochi mesi, il padre di Amelio invece era emigrato in Sudamerica. «Sono nato nel 1945, i miei si erano sposati giovanissimi, mio padre Giuseppe aveva 17 anni, mia madre Audina 15. Poi, poco dopo la mia nascita, lui parte per l’Argentina. Anche suo padre era emigrato là, ma poi si fece un’altra famiglia e non sarebbe più tornato. Giuseppe, mio padre, invece è tornato. Un motivo era che alla fine degli anni ’50 in Argentina le cose andavano male, il paese si era impoverito. Ma se lui ritorna è soprattutto perché mia madre trova il modo di farlo rimpatriare, attraverso l’ambasciata: aveva un figlio, doveva occuparsi del suo sostentamento». Molti anni dopo, regista ormai affermato, Amelio va a Buenos Aires a ritirare un premio. E si prende dei giorni per mettersi in cerca dei parenti di laggiù. Li trova, stanno a Rosario di Santa Fe. «È stato un incontro bellissimo. Conosco mia zia, conosco tre cugini tutti e tre culturisti, dei giganti. E a questo punto comincio a cercare di scoprire il segreto di mio padre: anche lui aveva un’altra famiglia? Forse aveva avuto dei figli, e se sì, dov’erano?». Del passato, Giuseppe non parlava mai. Ma la vita di Amelio ormai si svolge lontano da casa: dopo il liceo, l’università— non finita — e poi Roma a 19 anni, dove parte la sua avventura nel cinema. Resta però quel segreto. Così, in Argentina, la prima volta e poi in un viaggio successivo, chiede ai parenti. «Mia zia mi risponde che no, lui non ha mai avuto un’altra famiglia. Se così fosse stato, loro l’avrebbero saputo. E il segreto è rimasto segreto anche per me». Chi conosce il cinema di Amelio (da Colpire al cuore a Le chiavi di casa) non fa fatica a rintracciare nei suoi film il tema del rapporto difficile con la figura paterna. Nel primo, il ragazzo denuncia il padre sospettandolo di aver rapporti con le Brigate rosse. Nell’altro, un padre si prende cura tardivamente di un figlio handicappato. Ma sono figure di padri vicari, sostituti, nel bene e nel male, anche il carabiniere del Ladro di bambini e il fratello maggiore emigrato a Torino di Così ridevano. Naturale, poi, che tra i suoi film più amati ci sia La valle dell’Eden di Elia Kazan, con James Dean figlio non amato che alla fine si prenderà cura del padre nemico. La locandina originale del film («Ho visto su ebay che offrono 4 mila dollari») è una di quelle nella sua vasta collezione a cui Amelio tiene di più. La madre a cui Amelio deve la scoperta del cinema molto tempo prima di entrare in una sala cinematografica («Avevo 7 anni, vivevamo in un villaggio della provincia di Catanzaro senza luce né acqua corrente; un giorno vedo un giornaletto con delle foto di persone dalla cui bocca escono nuvolette con dentro le parole, chiedo che cosa sono, mia madre mi dice: questi sono attori che fanno un film») muore giovane, a soli 38 anni. «Mio padre morirà più tardi. Mi ricordo che da Roma tornavo in treno a Catanzaro per dei documenti che mi servivano. Alla stazione trovo tutti i parenti ad aspettarmi. Non capisco perché, poi una sorella di mia madre mi dice: sai, tuo padre è morto. E aggiunge: tanto a te di lui non importava proprio niente. Resto senza dire nulla per qualche minuto, poi mi prende un attacco di disperazione che dura giorni e giorni. È da lì che sono cominciato a cambiare. Un tempo, come quando non rispondeva alle lettere che gli mandavo in Argentina, o quel giorno che non mi volle comprare la rivista, lo odiavo profondamente. Tanti anni dopo ho cominciato a capirlo». Ma il segreto rimane e rimarrà tale. Forse, i segreti più importanti sono proprio quelli che non è possibile svelare.
Ranieri Polese