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 2010  luglio 29 Giovedì calendario

«LE MIE NOTTI DA ESCORT IN DISCOTECA» —

Non sono più una prostituta, dice, non chiamatemi più come vi piace, mi sono ripresa il mio nome, la mia vita, e tutto il resto. Sicura? «Ho paura. Rimango chiusa in casa. Chiameranno di nuovo, imagistrati? Mi faranno altre domande? Dimmi, cosa succederà? Ti giuro, ne sono uscita. Ho fatto le mie cazzate. Ho pagato. Basta».
Prendeva ottanta euro per una serata da ragazza immagine, in discoteca, e dopo la discoteca gliene davano duecentocinquanta, dice e ripete, per «non far niente, se non guardare». Davvero: «Dopo la discoteca, domandavano se mi andava di salire su, in qualche casa. Avevo bisogno di soldi. Ci andavo. Passavano il tempo a pippare, pippavano, pippavano, pippavano. Stavo lì, guardavo, e nient’altro. Bello no? Era come se mi regalassero i soldi. Quando si accorgevano di me, quando ci provavano, non riusciva niente, non ce la facevano». Ha tra i 20 e i 30 anni, A., è stata a Milano e al The Club, «pochi mesi, pochi mesi soltanto e mi hanno distrutta», è andata via, lontano, allora chiediamo com’è adesso, cosa fa, e lei dice: «Sono mamma».
Al magistrato, nel 2008, aveva raccontato: «Capitava di concedermi sessualmente a qualcuno dei clienti al tavolo ricevendone un corrispettivo». Premessa: «Non credere, era semplicemente così. Non riuscivo a stare in pari con l’affitto. Cercavo altri lavori. Non li trovavo. Io ho lavorato anche in uffici, in società. Non trovavo niente, in quel periodo. Ma pochi mesi soltanto, l’ho fatto pochi mesi soltanto».
Proseguiva quel verbale: «Le serate, dapprima come ragazza immagine e poi con attività di meretricio, le ho fatte sempre grazie alla collaborazione di... sia al The Club sia al...». E la droga? «... lo spacciatore ci raggiungeva a casa la droga veniva comprata» da lui, il cliente, o dagli altri «clienti con i quali proseguiva la serata iniziata in discoteca». Uno, più d’uno. «Tutti concentrati sulla cocaina. Avevano in testa solo quella. Non gli bastava mai». E tu? Avevi detto, in quell’interrogatorio: «Facevo uso di sostanza stupefacente del tipo cocaina in maniera più massiccia dopo le serate in discoteca; adesso la cosa è più saltuaria anche se mi capita di fumare qualche canna. La droga me la passava... che era solito detenerla addosso in misura limitata e in maniera più consistente a casa sua».
Chi erano? Sorriso, silenzio. Chi erano? L’età, la professione, la faccia, il portafogli, le richieste, la dipendenza: chi erano, dicci, racconta? «Erano ragazzi, uomini». Fa una domanda: «Mi porteranno via la bambina?». E perché, sono cose passate, due anni fa, è tutto finito, non credi? «No. Ho paura che tornino a farsi sotto». Chi? «Quelli che fanno l’indagine». Hai qualcosa da nascondere? «No». Al magistrato avevi raccontato che ti vendevi perché mancavano i soldi, perché ti servivano soldi; è vero? «Verissimo. Quando finivo una festa, e tornavo a casa la mattina, mi mettevo a mandare le email. Leggevo le inserzioni di lavoro, mandavo il curriculum. La prostituzione, l’ho fatta per pochi mesi, ripeto. Quanta prostituzione c’è in giro, per strada?».
C’era un tizio, aveva detto la ragazza al magistrato, che al locale «patteggiava il prezzo col cliente e poi me lo comunicava ed io ero libera di decidere anche se quasi sempre andava bene. Questo avveniva sia nelle serate ai tavoli dei privé sia al di fuori delle discoteche poiché lo stesso era solito chiamarmi per questi servizi a qualsiasi ora del giorno e anche la notte mentre dormivo. Peraltro io non ho mai avuto un mio giro personale di clienti, io non ho mai adescato nessuno... Talvolta arrivavo anche a 1.500 euro. Fu... a propormi di prostituirmi mi pare meno di un anno fa nel senso che mi fece chiaramente intendere che la serata ai tavoli poteva proseguire perché lui mi indicava il cliente, anzi era proprio lui che faceva da intermediario assumendo l’iniziativa di proporre a quella persona la prestazione sessuale con me».
La telefonata dura una mezz’ora. «Perché voi giornalisti mi state cercando? Cosa volete? Perché non cercate le altre, le straniere, che beate loro sono andate via dall’Italia?».
Andrea Galli