Sergio Romano, Corriere della Sera 29/07/2010, 29 luglio 2010
UNA STRADA OBBLIGATA
Preferiremmo che Berlusconi e Fini riuscissero a comporre le loro divergenze e ad accordarsi su un percorso comune. Ma se il Paese dovesse assistere ancora per qualche settimana a queste logoranti polemiche fra persone che rappresentano i due maggiori poteri dello Stato e appartengono per di più allo stesso partito, sarebbe meglio prendere atto dell’esistenza di concezioni diverse e trarne le conseguenze. Il Paese non può affrontare contemporaneamente la manovra finanziaria, i problemi della sua politica industriale (fra cui il negoziato della Fiat con i sindacati), il dibattito sulle intercettazioni, un micidiale sgocciolio di scandali che coinvolgono esponenti della maggioranza, e assistere nello stesso tempo a un paralizzante duello fra il presidente del Consiglio e quello della Camera.
Berlusconi e Fini hanno compiti istituzionali da cui dipende il funzionamento del Paese. Quanto più bisticciano tanto più perdono autorità e credibilità, componenti indispensabili del loro lavoro. Di grazia, risparmiateci questo spettacolo avvilente, prendete atto con serietà delle vostre divergenze e passate alla ricerca di formule che possano assicurare la continuità e la stabilità del governo. Quando Fini dichiara, come ha fatto nella sua conversazione con Il Foglio, che è possibile «resettare tutto senza risentimenti», l’offerta è interessante e vamessa alla prova.
Nel farlo nessuno dei due potrà dimenticare (e Fini lo ha ammesso) che le elezioni sono state vinte dal Popolo della Libertà, il partito che entrambi hanno contribuito a fondare. Possono separarsi e prendere strade diverse, ma non senza ricordare l’impegno comune che hanno assunto di fronte agli elettori. Occorre tagliare il nodo ricorrendo alle elezioni anticipate? Questa sarebbe, in altre circostanze, la più ovvia delle soluzioni. Ma le elezioni coglierebbero alcune forze politiche impreparate, rischierebbero di dare risultati incerti e soprattutto aprirebbero nuovi scontri, nel peggiore dei momenti possibili, tra forze che dovrebbero invece lavorare insieme nell’interesse del Paese. Occorre dunque pensare a un governo di transizione con un programma circoscritto e destinato a durare sino alla fine della legislatura, come quello che fu presieduto da Lamberto Dini fra il 1995 e il 1996? La prospettiva si scontrerebbe con Berlusconi, convinto di poter governare sino alla fine della legislatura; tradirebbe la volontà degli elettori e avrebbe, oltretutto, l’effetto di rappresentare, per un sistema politico non ancora consolidato, un pericoloso passo indietro.
Se si vogliono evitare le elezioni serviranno buona volontà e immaginazione. Occorrerà forse ringiovanire il governo, allargare la coalizione, impostare programmi che tengano conto anche delle idee di Fini e dei suoi seguaci. La soluzione comporterà qualche sacrificio sia per le posizioni del presidente del Consiglio, sia per quelle del presidente della Camera. Ma Berlusconi e Fini dovrebbero ricordare che il Paese ha spesso l’abitudine di punire nell’urna il partito e la persona a cui viene attribuita la responsabilità delle elezioni anticipate. Oggi il presidente del Consiglio ritiene di poter dimostrare che la colpa è del presidente della Camera. Domani, forse, gli elettori potrebbero giudicare diversamente. Una intesa fondata sulle vere esigenze del Paese, invece, gioverà a coloro che avranno seriamente tentato di realizzarla.
Sergio Romano