Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  luglio 29 Giovedì calendario

FINI NON SPIEGA LA CASA DEI MISTERI

Il giorno in cui aprirono il testamento della contessa Anna Maria Colleoni c’era un solo grande assente: l’appartamento di Montecarlo, tre stanze, bagno e cucina che oggi valgono più di 3 milioni di euro. La contessa aveva inviato il suo testamento con un pony
della Speedy boys allo studio del notaio romano Giuseppa Spadaro. Dentro una sola volontà. “Io sottoscritta Anna Maria Coleoni dichiaro liberamente di nominare erede universale dei beni mobili e immobili che mi apparterranno al momento del mio decesso il partito Alleanza Nazionale nella persona del suo attuale presidente onorevole Gianfranco Fini, come contributo per la buona battaglia”. La contessa non aveva figli, e in via ereditaria restavano solo due nipoti, Paolo e Aurora a cui lasciava qualche legato mobile e immobile. Tutto il resto ad An e al suo presidente. Una sorpresa, perché sostanzialmente i due non si conoscevano, appena sfiorati per caso a una cena di molti anni prima. Oltretutto fino a pochi giorni dal suo decesso (aveva un tumore, e quando ha inviato il testamento sapeva che le sarebbe restato pochissimo tempo da vivere) la contessa Colleoni aveva detto a tutti che la ricca eredità sarebbe finita a qualche associazione che si fosse presa cura dei gatti randagi. Lei ne aveva raccolti a decine per strada e li aveva portati nelle sue residenze a Roma e Monterotondo. Si sapeva che era ricca e un po’ svitata, ma nessuno conosceva l’entità esatta del suo patrimonio, che discende addirittura dal capostipite di una delle più antiche famiglie italiane, Bartolomeo Colleoni, celebre capitano di ventura che all’epoca lasciò molti dei suoi beni in eredità alla Chiesa e alle associazioni di carità.
Quando si è aperto il testamento davanti al rappresentante legale di An, Francesco Pontone, la sorpresa è stata grande. E gli occhi si sono sgranati censendo le proprietà che Fini e An avrebbero dovuto accettare: alloggi e terreni nella capitale e anche quell’appartamento a Montecarlo. Ma l’appartamento fuori confine non figurò nell’elenco dei beni accettati in eredità. Un partito politico non poteva prendere un immobile fuori confine, e fu studiato successivamente un veicolo societario per riceverlo finalmente in eredità. Per evitare impugnazioni da parte degli eredi legittimi, Pontone censì il patrimonio. Disse loro che valeva circa 3-400 milioni di lire dell’epoca e che era disposto a una transazione di qualche decina di milioni a patto che i due nipoti si impegnassero a non avviare azioni giudiziarie. E così fu. Anche se firmata la transazione, An non ebbe grandi riguardi per gli eredi. Loro chiesero di acquistare qualche proprietà di famiglia, almeno i terreni di Monterotondo, e fu risposto picche. Poi chiesero di acquistare almeno qualche ricordo della zia, compresi i cimeli fascisti che per anni aveva raccolto da collezionista. Ma fu loro risposto che il giorno dopo il testamento qualcuno di An fece pulizia della casa buttando via cimeli e mettendo alla porta gli amati gatti. Scarsa riconoscenza, dunque. Ma si era capito fin dal giorno dei funerali della povera contessa: nessuno di An si presentò, Fini non inviò nemmeno una corona di fiori. Incamerati gli immobili mai nessuno è andato a posare nemmeno un fiore sulla tomba, salvo naturalmente gli eredi legittimi che a quella zia un po’ pazzerella sono restati sempre affezionati.
Questa storia era iniziata in una calda serata del giugno del 1991. A Monterotondo si è da poco votato per le elezioni e al ristorante Villa Ramarini il popolo missino sta festeggiando l’elezione di Roberto Buonasorte (oggi consigliere regionale per il partito di Francesco Storace), primo uomo della destra a fare il suo ingresso in un consiglio comunale da sempre dominato dalla sinistra, tanto che la cittadina alle porte di Roma si era meritata la fama di “Stalingrado del centro Italia”. In quella cena di un centinaio persone, tra un brindisi e una forchettata di fettuccine, a un certo punto in una saletta riservata si appartano la contessa Anna Maria Colleoni, nobildonna discendente dal condottiero italiano del XV secolo, il segretario del Msi, Gianfranco Fini, e l’avvocato e militante missino Marco Di Andrea. E qui la contessa, che non ha figli, manifesta a Fini la volontà di lasciare tutto il suo patrimonio, beni mobili e immobili, al Movimento sociale per portare avanti la sua battaglia politica. Fini, un po’ imbarazzato, ringrazia e dice: «Cara contessa, non si preoccupi, tanto lei camperà altri cento anni...».
Poi il tempo passa, nel 1995 c’è la svolta di Fiuggi e la nascita di An e nel 1997 la Colleoni decide di mettere nero su bianco quella volontà espressa a Fini sei anni prima. E così scrive di suo pugno quel testamento in cui ha dichiarato di «nominare erede il partito di Alleanza Nazionale nella persona del suo presidente Gianfranco Fini come contributo per la buona battaglia». La contessa morirà due anni dopo, il 12 giugno del 1999. Il testamento viene aperto nello studio nel notaio romano Giuseppa Spadaro e a quel punto i beni entrano concretamente in possesso del partito. A quanto si apprende, gli immobili ammontavano alla grande casa di Monterotondo, dove la contessa ha vissuto fino alla sua dipartita, un terreno edificabile nei dintorni della cittadina laziale, un appartamento a Roma e uno a Ostia, un terreno a Terni e, appunto, l’appartamento a Montecarlo di circa 80 metri quadri dove oggi vive Giancarlo Tulliani, fratello della compagna del presidente della Camera. Quasi tutti gli immobili, compreso l’appartamento monegasco, sono stati venduti in modo da far quadrare i conti del partito. La casa del principato fu trasferita a una società a capitale anonimo, impossibile quindi sapere se tra i soci c’è anche il fratello della Tulliani. «In tutto questo non c’è nulla di illegale», precisa l’avvocato Di Andrea, oggi consigliere comunale de La Destra a Monterotondo, «bisogna però vedere se l’uso che si è fatto di questa casa rispecchia la volontà della contessa Colleoni, che aveva lasciato tutto al partito per fini politici e non per utilizzi di altro tipo. Spero comunque che si tratti di un grosso equivoco e che il presidente della Camera possa chiarire la vicenda».