DOMENICO QUIRICO, La Stampa 29/7/2010, pagina 15, 29 luglio 2010
Otto neonati uccisi dalla madre - La casa è linda, le tendine bianche alle finestre, i gerani, il prato del giardinetto verdissimo, sembra quasi finto
Otto neonati uccisi dalla madre - La casa è linda, le tendine bianche alle finestre, i gerani, il prato del giardinetto verdissimo, sembra quasi finto. La stradina che passa davanti è tutta presidiata da casette identiche, come sfornate da un’unica matrice edilizia all’infinito con la paura della nota stonata, si chiama «Sentier des Prés». Attorno si accuccia Villers- au- Tertre, un villaggio di 700 abitanti a pochi chilometri da Douai, nel Nord, nitido e tranquillo come questa Francia dimenticata dal fracasso dello sviluppo. Diventerà il villaggio degli orchi, lo scenario scelto da una Medea impazzita, che ha ucciso almeno otto figli. Forse di più. E che ora coperta di sangue ci guarda sfidandoci a capire. Tutto è cominciato in questa villetta che ha appena cambiato proprietario. Il nuovo inquilino ha deciso di fare dei lavori nel giardino, installare una piccola piscina, e scavando appena sotto la superficie del prato ha estratto con sorpresa alcuni sacchi. Li ha aperti: dentro c’erano i frammenti di piccoli scheletri, sembravano quelli di neonati. Da quel momento, da quando è arrivato il medico legale e ha confermato che si trattava di bambini uccisi subito dopo il parto l’orrore è diventato un pozzo senza fine in cui gli inquirenti, il giudice e i gendarmi, sono affondati, da cui non sono più riusciti più a divincolarsi. Sono stati fatti intervenire i cani si è cominciato scavare nel giardino e in un padiglione dove sono custoditi gli attrezzi altri sacchi. Anche questa volta in ognuno lo scheletro di un neonato. Otto in tutto. La strada è stata bloccata alla circolazione ma i curiosi ieri continuavano ad andare su è giù, per spiare dietro il via vai degli agenti dei cani dei tecnici della scientifica. I vicini si sono invece chiusi in casa, nessuno vuole rispondere. L’uomo che abita la casa di fronte si fa minaccioso, invita vigorosamente a non creare dei mostri «con le chiacchiere dei giornali» . Altri osservano dalle finestre semichiuse, con astio, la folla che arriva dalle cittadine dei dintorni, da Douai richiamata dalla notizia del delitto, alla ricerca delle tracce di tutto ciò che sembra scavalcare il possibile e l’umano. È la reazione di difesa di un paesino che, con strazio, si accorge di aver vissuto per anni, ogni giorno, fianco a fianco con una madre che, secondo i primi elementi, uccideva ossessivamente i propri figli, che dava la vita e la toglieva come una dea crudele. Di aver parlato con lei, aver scambiato piccole e grandi cortesie di vicini, pettegolezzi, speranze, tutta la vita quotidiana di una comunità di poche centinaia di abitanti: senza aver mai sospettato nulla. I gendarmi dopo la scoperta si sono precipitati nella casa dove si è trasferita la coppia dei precedenti proprietari, entrambi 45 anni, lui è consigliere comunale, lei aiuto infermiera. Li separa dalla casa dei piccoli scheletri non più di un chilometro: stesso giardinetto, stesse tendine bianche. Li descrivono come gente normale. Con due figlie grandi che a loro volta hanno dei figli. Anche qui avrebbero trovato dei piccoli scheletri di bebè. Li hanno interrogati. La donna secondo le prime voci poi smentite, avrebbe confessato: ha ucciso tutti i figli a cui ha dato la vita dal 1998, per nascondere le gravidanze al marito. E in una sorta di mostruoso delirio autodistruttivo avrebbe rivelato una dozzina di infanticidi. I limiti della strage sono ancora provvisori. Oggi la coppia dovrebbe essere formalmente accusata e il procuratore di Douai ha annunciato una conferenza stampa. Perché? Cosa ha spinto questa donna a scavare un solco omicida in piena carne, la sua? A attraversare questo inferno umano, a conviverci, a affievolirlo anno dopo anno delitto dopo delitto nei gesti quotidiani? A giocare tranquillamente con i nipotini? Si ritornerà a parlare probabilmente della «negazione di gravidanza», la sindrome che spinge alcune donne a chiamare «la cosa» il corpo uscito da loro stesse, a non riconoscerlo come un bambino: tanto meno il loro. Donne che quasi sempre non escono da ambienti poveri o sono affette da turbe psichiche: di una disarmante normalità come questa quarantenne di Villers.