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 2010  luglio 29 Giovedì calendario

Hanno disinnescato decine di ordigni - Se lo coccolavano, lo strapazzavano, certi lo toccavano quasi fosse un amuleto Mauro Gigli

Hanno disinnescato decine di ordigni - Se lo coccolavano, lo strapazzavano, certi lo toccavano quasi fosse un amuleto Mauro Gigli. Niente gradi, con lui bastava il nome. Militare, sì, molto e assai apprezzato. Ma gli si dava del tu al primo maresciallo Gigli. Come si fa col proprio angelo custode, al quale certo nessuno raccomanderebbe l’anima abbandonandosi al formalismo del lei. Mauro questo era per i suoi colleghi e per chiunque si trovasse a frequentare strade e quartieri zeppi di bombaroli: un angelo. Per di più sempre allegro e disposto alle battutacce sui rischi del mestiere, il suo, quello di sminatore, per dirlo volgarmente. Battutacce anche ciniche di quelle che vengono facili in posti come l’Afghanistan, dove chi esorcizza la paura è già un bel pezzo avanti rispetto agli altri che tentano di sconfiggerla. Il segreto è puntare al pareggio, perché, sorrise amaro una volta Gigli, «con quella, con la paura, non si vince». La affrontava con grande coraggio. Un coraggio da farlo sembrare incosciente a chi non sapeva quanto professionale fosse. L’incredibile conoscenza di materiali, liquidi, inneschi aveva trasformato il sottufficiale del 32esimo Reggimento Genio della Brigata Alpina Taurinense in una assoluta celebrità delle forze armate italiane. Una volta - vicino a Herat, in un’area diroccata dove si addestrava con i suoi - si mise a spiegare per mezzora e con accuratissimi dettagli da dove venivano, come erano fatte e usate certe taniche riciclate dai talebani per compiere attentati. Era un capo-team, Gigli. Uno vero. Un fuoriclasse del disinnesco. Coi suoi inconfondibili e immancabili guantini da lavoro si metteva spesso a terra, pancia in sotto, per neutralizzare le bombe. In prima persona. «Ne ha salvati a decine», sussurra appena, con la voce rotta dall’emozione, un collega dell’Esercito che conosceva il primo maresciallo e le sue gesta. Quarantuno anni, sardo, una moglie e due bimbi a Torino, Gigli, arruolatosi giovanissimo nel 1985, era, a questo punto si capirà, per ovvi motivi, un veterano delle missioni all’estero. Come uno dei suoi operatori migliori, il caporal maggiore capo Pierdavide De Cillis, del 21esimo Reggimento Genio di Caserta, morto ieri assieme a Gigli. Un ragazzone di Bisceglie, in Puglia, militare dal 1996. Aveva 33 anni. Era, fra le altre cose, l’addetto al robot che - telecomandato a distanza - viene impiegato dalla Task Force Genio per ridurre i pericoli. «Dato che gli somiglia lo chiamiamo Wall E, come quello del film», disse una volta Gigli dell’aggeggio meccanico. «Gli dobbiamo le nostre vite», aggiunse. Un pezzo di ferro, il suo angelo. Anche perché quando a essere un angelo sei tu, a te chi ci pensa, chi ti protegge? Forse per questo, quasi volesse per qualche attimo abbandonare il peso della responsabilità, a Mauro capitava come di assentarsi mentre parlava. Guardava in alto, in cielo. Lui, abituato a ingoiare sabbia e pericoli, era, per esempio, rapito dal miracolo del volo umano, dagli aerei: «Guarda che belli». Sospirava, sorrideva. E si rimetteva a lavorare.