Stefano Caselli, il Fatto Quotidiano 29/7/2010;, 29 luglio 2010
“COLPITI NOI PERCHÉ DIVERSI”
Stefano Benni, scrittore, giornalista e poeta, ma soprattutto bolognese fino al midollo. Nel 1980 aveva 32 anni.
Benni, dov’era il 2 agosto 1980. Come seppe della strage?
Ero dall’altra parte dell’Italia, a Santa Maria di Leuca. Lo seppi dalla radio e partii subito, in macchina. In quei giorni molti amici erano in viaggio e non me la sentivo di stare ancora in vacanza. Arrivai a Bologna che si scavava ancora.
Come fu tornare a casa?
Ricordo solo tanta, tantissima gente che scavava per trovare ancora qualcuno vivo, nonostante fossero passati giorni. Nel momento della catastrofe potevi toccare con mano l’Italia che distrugge da una parte, e quella che cerca di salvare qualcosa dall’altra.
Perché fu colpita proprio Bologna, se lo è mai chiesto?
Bologna è stata colpita perché era una città diversa dalle altre. Oggi non è né meglio né peggio, semplicemente non è più diversa dal resto d’Italia. Molta gente è rimasta segnata da quel 2 agosto, com’è ovvio. Qualcuno quando ne parla ha ancora i brividi. Per il resto di fronte al ricordo ci sono atteggiamenti diversi e basta andare alla stazione di fronte alla lapide per rendersene conto. C’è chi porta ancora dei fiori e chi passa oltre indifferente. Ecco, questi sono la perfetta metafora dell’Italia di oggi: fingere di dimenticare quello che è stato per digerire meglio il presente. • “MATRICE FASCISTA? MOLTI DUBBI” (Sofia Ventura) - Politologa bolognese molto vicina agli ambienti della destra di Gianfranco Fini. Collabora con il magazine di FareFuturo.
Che ricordi ha di quel giorno?
Avevo 16 anni, ero in campagna fuori Bologna. Ricordo benissimo i miei cugini che vennero a darmi la notizia. Bastarono poche ore per rendersi conto della tragedia.
Cosa cambiò da quel momento?
Erano anni terribili. Pochi anni dopo, nella strage del rapido 904 a San Benedetto Val di Sambro, morì un’amica del mio fidanzato di allora. Avevo paura, mi guardavo sempre intorno per vedere se c’erano valigie abbandonate o qualcosa di simile. Ora che ci penso, lo faccio ancora adesso.
Che effetto le fa passare in stazione, anche oggi dopo 30 anni?
Passo molto spesso in stazione e ogni volta mi fermo di fronte alla lapide. Leggo i nomi, penso all’età che queste persone avrebbero oggi e a tutta la vita che è stata rubata. Una cosa, però, l’ho sempre trovata stucchevole. Quel riferimento alla strage fascista che fu messo immediatamente dopo, senza aspettare i processi. E lo dico da bolognese, che della contrapposizione fascismo-antifascismo si è nutrita fin da piccola. Poi le sentenze sono arrivate, e va da sé che queste si rispettano. Ma sulla reale colpevolezza di Mambro e Fioravanti - sia chiaro, criminali incalliti - mantengo molti dubbi. • “TANTO ORRORE MA ZERO STUPORE” - Firma di Repubblica, Michele Serra ha cominciato a l’Unità come dimafonista . Ha diretto il giornale satirico “Cuore”.
Di cosa ti stavi occupando quel 2 agosto?
Mi occupavo di spettacoli e sport all’Unità di Milano. Quando arrivò la notizia ci fu orrore ma nessuno stupore. Lo stragismo in quegli anni, e in questo Paese, era un’arma politica non dico consueta, ma certo ricorrente. Ci si sentiva in guerra, si era in guerra, la patologia della politica di allora non era (ancora) la corruzione, era il sangue.
Dopo trent’anni rimane un altro dei misteri irrisolti o quasi, si sono dette un sacco di cose a riguardo, che idea ti sei fatto?
Credo che gli indizi a carico degli esecutori fossero sufficienti per condannarli. Le bombe contro gli inermi erano nei metodi del fascismo combattente, Bologna era la città simbolo della sinistra italiana, e dunque la definizione di “strage fascista” non mi pare forzata o faziosa come negli ultimi anni in molti hanno cercato di dire. Quanto ai mandanti, non sono un devoto della dietrologia ma è la storia stessa del Paese che ci costringe a “cercare dietro”. Dubito che la forza pervasiva, e la durata nel tempo, dello stragismo nero e del terrorismo rosso avrebbero potuto esistere senza la complicità e l’appoggio di quelli che chiamiamo in genere “pezzi di Stato deviati”, e sarebbe più esplicito chiamare traditori. • “MISTER RADICE CONTRO QUATTRO DI NOI” - Centrocampista e capitano dei rossoblù in quegli anni Franco Colomba è oggi l’allenatore del Bologna.
La squadra come apprese della tragedia?
Tornavo con la squadra dal ritiro di Asiago, sulla tangenziale di Bologna il pullman si fermò perché la polizia bloccava la strada. Ci affacciammo e vedemmo la stazione sventrata. Il fumo, le ambulanze, le sirene della polizia. Poco dopo con la squadra partecipammo in massa al funerale, faceva un caldo insopportabile la gente piangeva di quel giorno ricordo soprattutto il silenzio. Eravamo ragazzi, non sapevamo cosa significasse guerra. A funerale concluso risalimmo sul pullman della squadra e il nostro allenatore Gigi Radice si accorse che quattro giocatori senza avvertire nessuno si erano sottratti all’impegno di esserci.
Come reagì Radice?
Si incazzò come una bestia, cominciò ad urlare e ci disse: che se chi aveva dimostrato un senso civico così scarso non avrebbe saputo neanche giocare a calcio. Era la prima volta che lo sentivo urlare, non sarebbe stata l’ultima ma capii quel giorno di che pasta fosse fatto l’uomo. Sono nato a Bologna, ho giocato in rossoblù, la maglia dei miei sogni e poi avuto la fortuna di tornare in tarda età. Quella ferita, la ferita del 2 agosto 1980 è come un rumore che non è più andato via. Ricordare è basilare non dimenticare è essenziale. • “PROVE CERTE, IL RESTO È FANTASIA” (Libero Mancuso) - Ex pubblico ministero, si è occupato, a partire dal 1984, dell’istruttoria relativa alla strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Si ricorda quel giorno?
Ero in campeggio in Sardegna. Ci riunimmo tutti intorno a un televisore. Ci volle poco per capire che si era di fronte al più grave attentato della storia repubblicana.
Quando cominciò ad occuparsene?
Nel 1983. A Bologna l’aria era pessima, c’era grande tensione e confusione in Procura. Mi fu assegnato un filone secondario, su alcuni neofascisti veneziani. Intercettammo Amos Spiazzi, un golpista a tempo pieno e fu la svolta. Vien da dire che con la legge sulle intercettazioni non saremmo mai partiti.
L’unica strage con degli esecutori materiali individuati, eppure c’è chi ha dubbi...
La cosa che mi sorprende è che si continuano a seguire piste fantasiose che puntualmente crollano, ma non si mettono mai in dubbio le prove che due sentenze della Corte di Cassazione hanno stabilito essere serie e fondate. Le ultime piste vengono dalla Stasi, ma non hanno trovato nulla. Ci hanno provato con la commissione Mitrokhin. I depistatori sono sempre in attività.
Sappiamo ancora ricordare?
È una ferita che non si può rimarginare. La manifestazione che si tiene ogni anno è la testimonianza dell’unità sui temi del rifiuto del terrorismo, della memoria antifascista e pacifista che deve essere mantenuta.