Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 29/7/2010;, 29 luglio 2010
GUCCINI: BOMBA DI DESTRA, BASTA CON TARALLUCCI E VINO - A
quarant’anni, con le isole non trovate in tasca e la bottiglia nel retropalco, Francesco Guccini scoprì all’improvviso una nuvola di polvere da un piccolo schermo. “Ero a Pàvana, ricordo come fosse oggi e viste le circostanze, non avrei più potuto dimenticare”. Il suono delle ambulanze somigliava a un Requiem e la perdita dell’innocenza a una certezza. Voce roca, fotogrammi nitidi. La strage. Dopo, redatti i freddi resoconti e contate le assenze, nulla fu più uguale. “Avrei dovuto tenere un concerto a Imola il primo di agosto, per tornare in treno a Pàvana il 2 agosto. Ma un abbassamento di voce cambiò il programma. Così rinunciai e tornai a Pàvana”. Poche ore dopo, Guccini fu precipitato in una dimensione altra: “Radio e tv iniziarono a trasmettere notizie e lanci d’agenzia. Prima confusi, poi sempre più chiari. Avevano ferito Bologna, ucciso 85 persone, seminato morte in un luogo in cui si andava per partenze liberatorie e che invece si rivelò una trappola”. Via Paolo Fabbri al numero 43, in linea d’aria non era distante. “Avrei sentito il boato, ma ancora oggi, nonostante in Italia nulla sia mai davvero sicuro, completo o certo, mi è chiaro il significato di quella barbarie. La sua valenza eversiva, la matrice fascista dell’attentato sulla quale, nonostante si possa dubitare di tutto, non ho mai covato reali incertezze”. Quando chiedi a Guccini se usciti dalla curva dei ‘70, ci si poteva attendere quel lampo di fuoco, le dita vanno alla barba. Il pensiero in azione, la risposta sghemba: “Chi può dirlo? I Settanta furono per me un decennio felice, ma nell’aria si respirava tensione. Bologna era divisa a metà, scissa, perduta nelle contrapposizioni, a volte insanabili. Da un lato l’esistere di oasi felici, dall’altro poteva capitare di pasteggiare, magari inconsapevolmente, insieme ai brigatisti” E poi “untorelli”, indiani metropolitani, happening non sempre festosi, fratture a sinistra della sinistra. “Nel ‘77 successe di tutto ma Bologna, ripeto, non era un monolite. All’epoca frequentavo spesso una ragazza che abitava in via Mascarella, dove uccisero Francesco Lo Russo. Da lontano sentivo il rumore degli scontri. Decisi di scendere in strada e passai nei pressi di un bar dove gli avventori discutevano accanitamente. Mi avvicinai incuriosito e con mia grande sorpresa evinsi che l’argomento che li aveva infiammati era il Bologna, il calcio, il rischio della retrocessione. Una cosa assurda, completamente avulsa dal contesto”. Nei ricordi di Guccini prima di quell’orologio fermo alle 10:25 del 2 agosto 1980, fotogrammi lieti: “Non solo, si sparava anche nei ‘70 o si assaltavano i ristoranti. Lo fecero con un famoso ritrovo della Bologna di allora: Il Cantoncino. Alcuni amici americani arrivarono a casa con dei bottiglioni di Grappa, e noi a dire ‘Ma cosa fate?’ E poi Bonvi che delirava, gli slogan, l’eccitazione anche drammatica”. Tornando al 1980, Guccini non può non pensare ai tanti depistaggi che nel corso degli anni attribuirono a qualunque entità la responsabilità dell’eccidio: “In Italia il mistero è una religione. Ogni tanto un politico parla e rivela un pezzo di verità apparente. L’unica cosa certa è l’immobilità del Paese, il ripetersi ciclico degli eventi, la commistione tra pezzi dello Stato e strutture criminali, come la vicenda delle trattative dell’inizio dei ‘90 tra Stato e mafia spiegano più esaurientemente di qualunque trattato”. Quindi ritrovarsi a ricordare, esorcizzando come in un coro greco il ripetersi dell’orrore, a Guccini pare importante. “Importantissimo. A chi mette in dubbio il valore della memoria, revisiona ogni angolo del nostro passato e denigra la Resistenza, rispondo che ci sono ambiti del nostro vivere che mettere in discussione è miserabile. I nostri sono tempi cupi. Tetri e anche ridicoli. Come sempre, come diceva Flaiano, su ciò che avviene in Italia gli elementi tragici e farseschi nuotano insieme. Ma cedere all’oblio, equivale riscrivere la Storia. Finire nella nebbia indefinita del tarallucci e vino, vista la tragedia che colpì Bologna, rappresenterebbe un non senso assoluto. Offensivo. Volgare”.