Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  luglio 29 Giovedì calendario

VERDINI-DELL’UTRI PICCOLI TRADIMENTI TRA “AMICI”

Si salvi chi può. Erano quattro amici a casa Verdini: sembravano inseparabili, sognavano di cambiare il mondo, o almeno la Corte costituzionale. Ma oggi, appena sei mesi dopo, l’associazione si dissocia. La P3 perde i pezzi. Sono gli stessi adepti che si scaricano a vicenda.
Piegati dalla cella, terrorizzati dal rischio di nuove richieste di arresto, gli indagati vacillano. A cominciare da Denis Verdini che punta il dito contro Marcello Dell’Utri: "Non conoscevo né Lombardi, né Martino. Fu Dell’Utri a portarli a pranzo a casa mia. Con lui siamo amici da una vita, è una persona carismatica. Se lui viene con qualcuno che cosa dovrei fare? Non posso certo chiedere i documenti alle persone che lo accompagnano". Ma Verdini non si ferma qui: afferma che fu Dell’Utri, durante un incontro all’hotel Eden di Roma, a convincerlo di accettare Carboni come socio per la sua editrice in difficoltà (l’ingresso attraverso una “prima rata da 800 mila euro”). Lo scaricabarile è cominciato. E dire che erano due amici: entrambi vicini al Cavaliere. Ai vertici del Pdl come, secondo i magistrati, della P3. Infine, ciliegia sulla torta, un’affermazione che non farà piacere nemmeno a Ugo Cappellacci. Sulla nomina di Ignazio Farris a direttore dell’Arpa Sardegna Verdini ammette: "Carboni mi disse che aveva fatto una promessa e io gli dissi che andava bene. Per me non c’era nulla di illecito nel favorirlo".
MA LE CREPE si vedono ovunque, anche nell’interrogatorio di Cappellacci. Il Governatore della Sardegna ha cercato di difendersi dalle pesanti accuse che gli sono piovute addosso. Prima, quella di aver nominato Farris per dare una mano all’amico Carboni. La tesi di Cappellacci è semplice: in tutti i paesi del mondo c’è lo spoil system, chi governa si porta i suoi uomini. Così è stato per Farris. I pm non sembrano troppo convinti: quel nome, come dimostrerebbero tante intercettazioni, è stato fortissimamente voluto dalla P3. Ma le pressioni subite dai "signori dell’eolico"? Cappellacci non le nega, nè potrebbe farlo vista l’intercettazione del 13 marzo 2010 in cui lui stesso diceva: "Se la prendano in culo guarda, ci liberiamo da mille... io di essere sollecitato mattina e sera e anche di notte da chi ti chiede, sai bene che mi sono rotto i coglioni, da oggi hanno abbassato la serranda, è chiusa la bottega e andate a rompere i coglioni da un’altra parte". Un colloquio in cui Cappellacci veste i panni del paladino della giustizia, capace di resistere alle pressioni di imprenditori spregiudicati. Una svolta cui gli inquirenti sembrano non prestare fiducia, vista la familiarità del Governatore – e della sua segreteria – con gli accusati. Cappellacci avrebbe pronunciato queste frasi quando già sospettava di essere intercettato. Una cosa, però, è certa: Cappellacci, nel marzo scorso, quando Verdini finì nell’occhio del ciclone per l’inchiesta fiorentina, aveva deciso la sua tattica difensiva. Che ha confermato nell’interrogatorio della settimana scorsa: è vero, ho ricevuto pressioni, ma non mi sono piegato. Difficile dire se alla fine questa versione lo salverà. Certo non gioverà al suo amico Carboni, l’uomo che Cappellacci durante l’interrogatorio ha ammesso di aver conosciuto e da cui ha raccontato di essere stato aiutato in campagna elettorale.
SEMBRANO PASSATI secoli. Oggi la parola d’ordine è: "Si salvi chi può". Così ecco che nell’interrogatorio del 9 luglio Carboni dà una sua versione che suona tanto come un tentativo di scaricare gli ex soci Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi. Scrive il giudice del Riesame: "Carboni ha negato ogni addebito, sostenendo di avere una conoscenza superficiale con Martino e il Lombardi". Possibile? E le decine di telefonate registrate, e gli incontri immortalati dai carabinieri con tanto di fotografie ? "In sostanza Carboni sostiene di essersi limitato ad ascoltare le continue segnalazioni del Martino in relazione a possibili candidature perché fossero fatte presenti a Verdini". Insomma, che se la veda Denis. Ma non è finita: "Carboni nega di essere stato il dominus del centro studi Diritti e Libertà sostenendo che era diretto da Carlo Maietto". Un colpo anche a Maietto, quindi, che avrebbe presentato Martino a Carboni come fosse un grande avvocato. Il faccendiere sardo si gioca le ultime carte che ha in mano, punta il dito anche contro Maietto, che, come lui, sostengono i carabinieri, aveva avuto contatti con Pasquale De Martino, uomo "vincolato in maniera indissolubile alla camorra".
BASTA COSÌ? No, Carboni scarica tutti. Anche Pasquale Lombardi. Flavio ricorda di averlo lasciato "parlare al telefono senza interessarsi a quello che diceva, magari dicendogli ‘bravo, bravissimo’, ma senza dargli retta e lamentandosi di lui". E in effetti le intercettazioni offrono anche alcuni divertenti siparietti sulle crisi di loggia: "Non mi far parlare con quel coglione che al telefono dice di queste cose", sbotta Carboni con Martino, parlando di Lombardi. La loggia scoppia. Anche Lombardi, poverino, strapazzato da tutti nelle intercettazioni (quasi come lui trattava i magistrati suoi amici e il sottosegretario Caliendo) ha deciso di giocare una partita tutta per sé. Le toghe amiche? Al diavolo. Così il 10 luglio scarica anche loro: Lombardi – scrive ancora il magistrato – racconta di essersi "interessato alla nomina a uffici direttivi di alcuni magistrati amici, come Alfonso Marra, Gianfranco Izzo e Paolo Albano su richiesta di costoro, che sapevano che lui aveva molte conoscenze e amicizie politiche... Per sollecitare tali nomi", Lombardi racconta di essersi "rivolto a due consiglieri togati del Csm (Ferri e Carelli Palombi) e ai componenti laici Tinelli, Saponara e Bergamo. Ha prima negato di essersi rivolto a questo proposito a Nicola Mancino, che pure conosce bene da oltre dieci anni, per poi ammettere di avergliene parlato incidentalmente". Insomma, Lombardi tira a fondo con sé decine di persone.
Che fine malinconica: Verdini molla Dell’Utri. Carboni scarica Martino e Lombardi che a sua volta attacca i magistrati. Una catena di Sant’Antonio. E pensare che pochi mesi fa sembravano inseparabili. Volevano cambiare l’Italia, ma non avevano fatto i conti con... se stessi.