Francesco Borgonovo, Libero 28/7/2010, 28 luglio 2010
IL DRAMMA DI CATERINA CONQUISTA LE COSCIENZE
Non ha goduto della pubblicità sensazionalistica di solito riservata alle grandi firme del giornalismo. Nessuna intervista su “Vanity Fair” o altre riviste cool da leggersi in spiaggia. Il passaggio televisivo da Fabio Fazio, poi, è stato negato dalla tempistica di uscita, ma chissà se l’unico conduttore italiano in grado di proiettare un libro in classifica l’avrebbe mai invitato, non trattandosi di un editorialista di Repubblica. Eppure Caterina. Diario di un padre nella tempesta (Rizzoli) di Antonio Socci ha venduto 50mila copie in due settimane.
Altre volte abbiamo cercato di spiegare il successo dei saggi di Antonio (in particolare il recente Inchiesta su Gesù) motivandolo con il grande interesse del pubblico verso ciò che attiene alla fede cristiana, ma questa volta è diverso. Caterina è qualcosa di più. Racconta la vicenda terribile e meravigliosa assieme della sua bambina, una bellissima ragazza di 24 anni, che il 12 settembre scorso è entrata in coma dopo un misterioso arresto cardiaco. Un padre e una madre, una famiglia, un gruppo di amici, un’intera comunità all’improvviso sprofonda nell’angoscia, è chiamata ad affrontare una prova che ha bisogno di un coraggio inesprimibile a parole. Un coraggio che solo chi ha messo al mondo una ragazza piena di vita, in procinto di laurearsi, la quale si trova di colpo immobilizzata su un letto, priva di coscienza, può conoscere.
Il miracolo di Holden
Però poi succede un altro fatto imprevisto. Una sera, lo scorso gennaio, la mamma di Caterina è seduta al suo capezzale e le sta leggendo un libro, Il giovane Holden di Salinger, uno degli scrittori più famosi del mondo che dal 1965 fino proprio al gennaio 2010 non ha voluto pubblicare nulla, si è chiuso in un testardo esilio nella sua casa di Cornish, nel New Hampshire, senza concedere interviste né farsi vedere in giro. Quella sera di gennaio, la storia di Caterina incredibilmente si intreccia alla vicenda di questo scrittore. Anche lei si è allontanata dagli altri uomini, come
ritirata in una Cornish metaforica. Ma mentre la madre le legge un passo scritto da un uomo che dal suo isolamento non ha voluto fare ritorno, Caterina Socci scoppia in una gioiosa risata. Ritorna, comincia a riprendere conoscenza, inizia la riabilitazione.
Come facciamo a conoscere tutti questi particolari? Perché Socci ce li ha raccontati. Non solo nel suo libro, ma da subito, dal giorno dopo la disgrazia. Il 13 settembre 2009, sul sito www.antoniosocci.com, compare un post in cui Antonio chiede agli amici e ai lettori di pregare per la sua piccola. Su molti blog si discute dell’opportunità di questa scelta, c’è come al solito chi accusa il libro di essere scandalistico. E forse è vero: Caterina dà scandalo, perché ci sbatte davanti agli occhi una vicenda che non sappiamo spiegare; alcuni la chiamerebbero miracolo, altri la considererebbero frutto dei progressi scientifici. Forse, però, l’atteggiamento migliore è quello di tenere per sé i commenti e semplicemente farsi incantare da quello che è accaduto.
Ci vuol coraggio, dicevamo, ad affrontare una prova di questo tipo. Ma ce ne vuole ancora di più a raccontarla, a non chiudersi nel dolore, ma a rendere pubblici i propri sentimenti. Così facendo si ottiene il sostegno degli amici, e Antonio ha ottenuto scrive anche quello di persone insospettabili. Però si è esposto al giudizio, ha accettato il rischio di critiche anche feroci e taglienti. Ha accettato il costo della testimonianza. Nel libro, Socci spiega che il travaglio di sua figlia ha spinto molti, anche atei o agnostici, a riscoprire il valore della preghiera. E per un cristiano è una grande conquista.
Ma non c’è bisogno di essere credenti per offrire agli altri qualcosa che abbia valore di testimonianza, che sappia commuovere e coinvolgere. Bisogna essere, però, dei grandi scrittori. Una storia del genere si deve saperla raccontare, non scadere nel patetico, permettere ai lettori di riconoscersi in quello che trovano sulla pagina. Una vicenda vera e forte come un pugno nel ventre non forma da sola un libro importante.
L’esempio più alto è forse Diario di un dolore di C. S. Lewis, che vi narrò la scomparsa dell’amatissima moglie Joy e l’abisso in cui l’aveva sprofondato (uscì però sotto lo pseudonimo N. W. Clerk). Ma non è un caso che Oriana Fallaci abbia ottenuto un successo clamoroso, anche maggiore di quello dei suoi ultimi pamphlet, con Lettera a un bambino mai nato, dove più di ogni altra volta si apriva al pubblico, metteva in piazza un dramma lancinante. Lo ha fatto altre volte, Oriana. Per esempio raccontando del cancro che la divorava e lei aveva battezzato l’Alieno. Ci vuole faccia tosta e la toscanaccia ne aveva ma anche tenerezza.
Una risata di gioia
La stessa dimostrata dal francese, da noi misconosciuto, Hervé Guibert. Giornalista, autore di libri piacevoli ma comunque minori, ha lasciato un’opera breve e straordinaria intitolata Citomegalovirus (pubblicata da Bollati Boringhieri anni fa e ora fuori commercio), nella quale raccontava le sue giornate di malato di Aids prossimo alla morte in ospedale. Lì non c’erano da versare le lacrimucce spese per il Tom Hanks melodrammatico di “Philadelphia”. Si rideva, a volte, c’era da amareggiarsi e da piangere e poi ancora da sorridere. Così come si piange e si sorride e poi si scoppia in una risata di gioia (la stessa Joy che aveva perso Lewis) grazie a Caterina. Grazie a un padre che si è messo in piazza, in rete, ovunque. E ha testimoniato. Il miracolo è questo.