Fosca Binker, Libero 28/7/2010, 28 luglio 2010
IL DEPUTATO SI SACRIFICA MA C’È IL TRUCCO
Buoni ultimi, ma alla fine un po’ di cinghia i parlamentari hanno deciso di stringerla. L’ufficio di presidenza della Camera dei deputati ieri ha deliberato una riduzione complessiva di mille euro netti dei rimborsi spesa ai deputati.
Dal primo gennaio prossimo la diaria per le spese di soggiorno a Roma passerà da 4.003,11 a 3.503,11 euro di tetto massimo rimborsabile e il plafond a disposizione di ogni onorevole per le spese inerenti al “rapporto eletto-elettore” scenderà da 4.190 a 3.690 euro al mese. Non verrà invece toccata l’indennità parlamentare, che oggi ammonta a 5.486,58 euro mensili e che è paragonabile allo stipendio base dei deputati. Identica decisione sarà adottata dall’ ufficio di presidenza
del Senato nelle prossime ore: verranno tolti anche lì mille euro, metà dalla diaria metà dai rimborsi eletto-elettore, ma si partirà da una somma un po’ più alta e quindi in tasca a ciascun senatore resteranno circa 3-400 euro più che ai deputati.
La novità è che con questo gesto e la sua presentazione la Camera ha riconosciuto che i rimborsi spesa ai parlamentari erano nel frattempo diventato stipendio vero e proprio. Non fosse così almeno metà del taglio sarebbe una pura finzione, andando a ridurre i compensi per i portaborse che ancora oggi sono privi di un vero e proprio contratto.
Il taglio per altro si ridimensiona molto tenendo presente che non incide né sullo stipendio base (l’indennità parlamentare), né sulla indennità di funzione che viene percepita a vario titolo da 145 deputati su 630.
Tenendo presenti tutte le voci, i mille euro rappresentano il 5,13% di quanto oggi percepito ogni mese dal presidente della Camera, Gianfranco Fini (19.470,81 euro oltre tutti i benefit non tassati), il 5,55% dei 17.995,81 euro netti mensili percepiti dai vicepresidenti della Camera, e via dicendo come illustrato nella tabella pubblicata qui nella pagina, fino al 7,11% del taglio ai 15.045,81 euro mensili netti percepiti dai semplici deputati che non hanno incarichi in commissione o in ufficio di presidenza. Mediamente si tratta di un taglio del 6,55% sugli emolumenti netti dei deputati che a partire dal 2011 farà risparmiare alle finanze pubbliche 7,5 milioni di euro.
Rispetto alla spesa lorda il risparmio percentualmente diventa del 4,53%. Insomma, anche se i mille euro peseranno sulle tasche di tutti ed essendo applicati ai rimborsi
spesa costringeranno a scelte più oculate su affitti e permanenze romane, l’annunciato taglio del 10% degli stipendi non è avvenuto.
I deputati hanno preferito fare stringere un po’ di quella cinghia anche ai dipendenti di Montecitorio, a cui si applicherà un po’ di giustizia distributiva.
La riduzione dal 2011 sarà infatti del 5% per le retribuzioni sopra i 90 mila euro e del 10% per quelle sopra i 150 mila, e durerà fino al 2013 portando con sé (al di là del reddito) il blocco delle retribuzioni come avviene per tutti gli altri pubblici dipendenti. Fra questo e altri risparmi la Camera pensa di rinunciare per il prossimo triennio a 20 milioni di euro all’anno, un terzo per il contributo dei deputati, due terzi per la cinghia stretta agli altri abitanti del Palazzo.
Per dare un contentino ai deputati che certo non devono averla presa benissimo, Fini ha fatto diramare un comunicato per spiegare che «la partecipazione della Camera allo sforzo complessivo cui è chiamato il Paese risponde ad un doveroso senso di responsabilità e non dipende dal fatto che le spese per l’attività parlamentare siano eccessive o improduttive, trattandosi di costi essenziali per il funzionamento della democrazia». La cinghia era ormai stretta intorno alla vita di tutti i dipendenti pubblici dopo la finanziaria di Giulio Tremonti, e la Camera non poteva fare altrimenti. Ma il vero tallone di Achille di Montecitorio in questa legislatura non è stato quello dei costi generali, quanto quello della produttività dei deputati.
Fra aula e commissioni hanno lavorato dall’inizio della legislatura al 16 luglio scorso 2.230 ore e 30 minuti.
Un calcolo molto generoso, perché l’aula è stata riunita per 1.872 ore e 46 minuti e di queste poco più di 800 erano ore con votazioni, le uniche a cui presenzia la maggioranza dei parlamentari. Ma facendo finta che tutti siano stati presenti alle altre mille ore (quando al massimo c’è in aula qualche sparuta decina di deputati), questo significherebbe che nei 568 giorni feriali della legislatura in media ogni deputato fra aula e commissioni abbia lavorato 3 ore e 54 minuti al giorno, l’esatta
metà degli altri italiani. Se si rapporta lo stipendio ricevuto con le ore lavorate, ogni deputato fin qui è costato 261 euro lordi all’ora lavorata e ha percepito 181,25 euro netti all’ora. Dal primo gennaio 2011, tenendo sempre questo ritmo, il costo orario per deputato non si abbasserà di molto: 249,17 euro lordi all’ora che nelle loro tasche diventeranno 169,37 euro netti all’ora. Un calcolo assai generoso, perché considerando la reale presenza in aula nelle sedute quella cifra dovrebbe più che raddoppiare. Ma si dà per buono un fatto tutto da dimostrare: quando non sono in aula o in commissione i parlamentari sono comunque impegnati in incontri e riunioni politiche collegati al loro mandato. Certo, pagati a cottimo diventano una delle categorie professionali più care d’Italia. Forse riuscissero a rendere un po’ di più i benefici potrebbero trasformare quelle cifre pagate dai contribuenti anche in un investimento redditizio.