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 2010  luglio 28 Mercoledì calendario

«MI TELEFONARONO: IL CUORE DI TUA FIGLIA È FERMO»

La mattina di quel 12 settembre ero baldanzoso come un bambino e non sapevo che Caterina, la mia Caterina, doveva morire quella sera stessa. Era scritto che alle 21,30 sarebbe finito il mondo. Per me. Per sempre. O sarebbe cominciato un nuovo mondo. Il cielo azzurro, quella mattina, faceva pensare al mantello della Regina del Cielo. Uscendo di casa per prendere i giornali recitai mentalmente il Magnificat entusiasmato da quello splendore, che era come un sorriso materno sui nostri destini e sulle ire e le meschinità degli uomini.
Un cielo scintillante
Il cielo di Toscana a volte è scintillante come l’oro di Duccio. Ci sono belle giornate di vento in cui le nuvole si rincorrono fra le stelle. Nell’estate toscana di solito il cielo all’alba brilla proprio di questo azzurro abbagliante. Sembra ogni volta il primo mattino del mondo.
Quel giorno dunque trascorremmo un dolce, inconsapevole sabato nello splendore delle nostre colline, anticamera del paradiso...
Guardammo le foto scattate all’Isola del Giglio dove io non ero potuto andare sperando che lavorare al nuovo libro su Gesù potesse far intravvedere a molte persone mari più azzurri e fondali d’incanto e una più bella festa con figli e amici e un sole che non tramonta...
Intanto parlavamo della laurea di Caterina («mancano solo dodici giorni», « portiamo noi il vino?») e di quanto è splendida la vita e di tanti progetti e degli amici, cullandoci nel ricordo di lunghe passeggiate sulla spiaggia di Castiglion della Pescaia o fra Donoratico e San Vincenzo.
Finalmente la laurea
Nella sua agenda, al giorno 24 settembre, Caterina aveva scritto «LAUREA» a caratteri cubitali con disegni festosi attorno. Dopo anni di studio era il suo bel traguardo. Meritato. Che dono questi figli, tutti e tre. Che bravi e che belli. E che gioia: la nostra primogenita si laurea in Architettura... Piccola grande felicità umana. Mi alzai dal tavolo sotto il ciliegio, entrai in casa e ridendo danzai attorno al tavolo di Alessandra, mia moglie: «Non c’è nessuno piu felice al mondo!».
Lei mi sorrise, ma dolcemente allarmata: «Non dirlo, per carità... Non si sa mai cosa ci riserva la vita». Fu una frazione di secondo. Mi tornò in mente l’esultanza di Violaine quando non sapeva di essere alla vigilia del suo martirio... O, invece, della sua gloria.
Dolce e luminoso, quel sabato arrivò al crepuscolo. Alessandra era alla
messa della comunità. Mentre tornava, io cucinai un piatto di riso troppo salato a mio figlio piccolo (che non lo mangiò) e la sera, ancora estiva, era deliziosa su quel prato pieno di fratelli e nipoti. Mi immersi nei miei libri.
Il telefono suono alle 21,30. Io lasciai che rispondessero di sopra. Percepii strani rumori di agitazione, poi il grido di Alessandra. In una frazione di secondo rammentai con terrore l’altro momento in cui gridò così: dodici anni prima, il giorno in cui incinta si accorse che rischiava di perdere il bambino.
La sera del 12 settembre avremmo preferito che a squarciare il nostro cuore fosse un colpo di lancia in pieno petto.
L’urlo disperato
Da Firenze, stavano chiamando le amiche e coinquiline di Caterina: un improvviso arresto cardiaco. Cosa? Caterina? Il cuore? Sì. Non batte più. È caduta in terra e da un’ora il suo cuore si è fermato e i medici, che le hanno tentate tutte per rianimarla, non sanno più che fare. Ormai stanno mollando...
Ci fecero capire che non c’era più niente da fare. Caterina non c’è più e il suo sorriso non lo rivedrò mai.
Un tornado di pensieri ed emozioni mi travolse in un attimo. Ricordo solo di aver cacciato un urlo disperato e assordante: «Gesùmionooooooooo!!!».