Nino Cirillo, Il Messaggero 29/7/2010, 29 luglio 2010
MELFI, DOVE IL TABÙ È STATO GIÀ ROTTO
Melfi (Potenza) - Stiamo tanto a cincischiare e una “newco” la Fiat già ce l’ha. Una “newco” con tutti i crismi, proprio come quella in arrivo per Pomigliano e che tante contorsioni sta suscitando, tanti dibattiti, tanti arrovellamenti, come fosse un tabù ancora da infrangere. Invece è stato infranto - e con tutte le firme del caso - l’11 giugno del 1993, diciassette anni fa, altrimenti qui saremmo davanti alla Fiat di Melfi e non alla Sata di Melfi, Societa Automobilistica Tecnologie Avanzate, una “newco“ appunto , che in piena Tangentopoli assicuro lavoro ad almeno diecimila lucani, ma al fuori della famigerata “accordistica Fiat“. Con salari inferiori, cioè, e con indennità inferiori a tutte quelle previste in quegli anni nella galassia di Torino, comunque all’interno delle gabbie del contratto nazionale dei metalmeccanici.
L’Italia, insomma, è un paese che avrà tanti pregi ma la memoria tremendamente corte. Altrimenti solo pochi capziosi appassionati della materia ricorderebbero che sotto quello storico accordo c’è anche la firma di due dirigenti della Fiom Cgil di allora, Luigi Mazzone ed Enrico Ceccatti. Gli stessi appassionati aggiungono che da lì in poi i nostri eroi non hanno fatto una gran carriera, ma questo poco conta. Conta che la “newco” diciassette anni fa non provocò nessuno scandalo, anzi fu accolta con un sospiro di sollievo perché Spagna e Grecia erano pronte ad ospitare le linee di montaggio di Melfi - delocalizzazione molto ante litteram -, perche il governo si impegno, forse più di quello che sta facendo adesso, per scongiurare il peggio.
Ma se questa è la notizia, se è con questa “newco ” quasi maggiorenne che oggi bisogna fare i conti - qualcuno se ne ricorderà? - il resto della storia di Melfi è davvero molto complicato. Perché da quell’accordo in poi, in questa piana che puzza - o profuma - di merendine Barilla, avendo la Barilla uno stabilimento proprio accanto, è successo praticamente di tutto. E’ successo che a piano a piano la “newco” ha assorbito tutta una serie di “privilegi”. Fino all’accordo ponte del 2006 che praticamente riassume i frutti migliori di una puntigliosa e mai doma battaglia sindacale.
E’ capitato anche, però, che arrivasse la battaglia dei 21 giorni, la Battaglia di Melfi, la vertenza che più ha segnato la storia del sindacato in Italia almeno dai cancelli di Mirafiori dell’80 -i cancelli di Berlinguer e della Marcia dei Quarantamila - a oggi. Fu a cavallo tra l’aprile e il maggio del 2004, infatti, che per ventuno lunghissimi giorni la Fiat di Melfi divenne terreno di un’aspra, infinito scontro attorno alla “doppia battuta”. Non staremo qui ad annoiarvi: la Fiat aveva imposto turni molti intensi ai suoi operai di Melfi per poi ricompensarli con tre giorni secchi di riposo. E questo ai sindacati non andava più giù.
Finì con un cumulo di macerie, la “doppia battuta“ venne cancellata - questo sì - ma venne cancellato anche tutto un ceto sindacale, fu la fine di un’epoca davvero. La Fim Cisl e la Uilm catapultarono a Melfi - dopo essersi opposte ai blocchi, ma restando d’accordo sulla sostanza delle rivendicazioni - il meglio dei loro uomini. E la Fiom, che questa battaglia aveva portato avanti fino al parossismo, dovette fare i conti con un calo lento ma inarrestabile dei consensi.
Sono questi gli uomini che oggi incontriamo. Il più vecchio di loro è Tonino Zenga della Fim cisl, un tipo tosto e di poche, sentite parole: «Io dico che questa conflittualità continua non serve a nessuno. Dico che se in un contratto ci sono degli abusi il sindacato deve vederli, deve correggerli...Ma dico anche che Marchionne sta facendo in Serbia quello che si sarebbe dovuto fare a Melfi. E questo mi mette paura».
Già, perché a Melfi 5.700 lavoratori si affannano tutti attorno a una sola linea, quella della Grande Punto. Quanto potrà durare? Vincenzo Tortorelli, segretario della Uil, allarga le braccia: «In questi ultimi due mesi, senza incentivi le vendite sono calate del 20 per cento. Noi siamo pronti a riscrivere tutte le regole che si vogliono, ma questo sono i dati di fatto». E lo dice uno che operaio è stato, che operaio vuole tornare - «a settembre lo farò, mi manca il contatto con loro» - e che può vantare addirittura un altro titolo: «figlio di metalmeccanico».
Non sembra cadere dal pero - perche Melfi è Melfi - neppure Emanuele De Nicola, della Fiom Cgil: «Siamo diposonibili a un confronto su tutto. Sulle pause, sulle indennità, su tutto. Quello che del progetto di Pomigliano ci preoccupa è l’attacco del diritto di sciopero...».
Se questi sono i sindacalisti “professionisti”, ci sono le voci degli altri, gli operai visti uscire ed entrare tra le una e mezza e le due pomeriggio. Tutti in tuta da lavoro - a proposito, è la famosa tuta che Striscia la notizia sbugiardò perché aveva la bandiera italiana con i colori sbagliati e per giunta made in China -, tutti educati e sorridenti, ma molto preoccupati. Una preoccupazione per tutte: a fine mese, ma siamo già a fine mese, la Fiat non corrisponderà il premio di risultato di circa seicento euro pagato l’anno scorso. Ma le vacanze sono vacanze, che c’entrano con il futuro il gioco?