Varie, 29 luglio 2010
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Erofeev Viktor
• (Erofeyev, Yerofeyev) Mosca (Russia) 19 settembre 1947. Scrittore. Uno dei maggiori scrittori russi contemporanei. Il padre, prima interprete dal francese di Stalin, poi diplomatico a Parigi, fu rimosso dall’incarico in seguito alla pubblicazione di alcuni scritti del figlio sull’almanacco Metropol, considerato un simbolo della dissidenza sovietica all’estero. Dopo la perestrojka tornò in patria e nel 1990 pubblicò La bella di Mosca (tradotto da Rizzoli), a cui sono seguiti L’Enciclopedia dell’anima russa (Spirali) e Il buon Stalin (Einaudi) • «[...] l’autore de La bella di Mosca (Bur), un romanzo fin troppo fortunato, uno dei primi romanzi postmodernisti apparsi in Russia. [...]» (Franco Cordelli, “Corriere della Sera” 6/7/2008) • «[...] dallo studio televisivo di Apocrif, in onda a tarda notte sul canale russo “Kultura”, parla di narrativa, stronca libri, invita giovani autori, fa polemica sulla vita e sulla morte saltando a piè pari su temi poco alla moda nella Mosca da bere come la prigionia di Mikhail Khodorkovsky o la morte di Anna Politkovskaja e allo stesso tempo evitando il gioco facile del luogo comune sull’irreversibile stato comatoso della politica patria. Irriverente senza essere offensivo, [...] danza nel cuore delle notti sulla lama sottile che divide la nuova Russia – quella dei talk show, dei vernissage, della dissidenza che mette fuori la testa e comincia ad assaporare il gusto dolce del successo e dello star system – dalla Russia antica – quella della delazione, della paura di finire nei guai, della sottomissione a un potere capriccioso che anche se si è globalizzato alla fine può sempre riservare qualche sorpresa ed è un attimo che ci scappa il morto. Erofeev è l’unico che riesce a parlare male della Russia e insieme tenere in vita una trasmissione di successo, forse perché se la prende con i russi più che con il Cremlino. [...]» (“La Stampa” 25/5/2009) • Nel 2004, in Germania e poi in Russia uscì il suo romanzo autobiografico Il buon Stalin. L’edizione Einaudi, uscita nel 2008, recava in copertina una sua fotografia, bambino in pagliaccetto, sulle spalle del padre Vladimir: «[....] “Per un anno e mezzo tra noi calò il silenzio. Finché non mi decisi a pubblicare un articolo sul Moskovskie Novosti, in cui spiegavo perché avevo dato alle stampe questo testo. Era una intera pagina di giornale usata per dire ‘Perdonatemi’. Mia madre mi disse ‘Stavolta ci hai uccisi sul serio, tutti e due’. La vicenda di Metropol, in confronto, era stata all’acqua di rose. Solo la nascita della mia ultimogenita, Maja, ha sciolto il gelo” [...] Nel Buon Stalin [...] Metropol, ha un ruolo chiave, com’è stato nella sua vita vera: è l’almanacco da lui promosso che conteneva testi di romanzieri, poeti, cantautori, da Askënov a Iskander, da Achmadulina a Vysockij e che, con la sua carica underground, a gennaio 1979 esplose come una bomba nell’Urss di Breznev. L’uscita di Metropol per lui segnò la morte civile fino alla perestrojka, con l’espulsione dall’Unione degli scrittori - nonostante l’appello promosso da Arthur Miller, John Updike, Kurt Vonnegut, Edward Albee, William Styron - e di conseguenza l’impossibilità di pubblicare. Ma per suo padre segnò un’altra fine: della brillante carriera diplomatica, cominciata come interprete dal francese di Stalin, continuata come assistente di Molotov, poi a Parigi, Dakar e Vienna. Vladimir Erofeev era amico di Picasso e Yves Montand, era il “Volodja” cui Simone Signoret intitolò il suo libro di addio al comunismo dopo l’invasione della Cecoslovacchia. Ha definito “Metropol” un parricidio. [...] “[...] La sua è una storia quasi metafisica: chi era il suo angelo custode mentre durante la guerra raggiungeva Stoccolma via Arch’angelsk, Scozia, Londra, scampando infinite volte alla morte? E il vero mistero poi è questo: come ha fatto a conservarsi uomo perbene all’inferno, nel centro dello stalinismo? Mio padre era l’unica persona con cui Stalin rideva, Stalin gli voleva bene, la risata era l’aura che l’ha salvato. Stalin vedeva in lui l’uomo sovietico perfetto: era bello, parlava le lingue, ed era una sua prosecuzione, perché credeva nella rivoluzione mondiale, ma non rivaleggiava. Non era infettato dal sadismo. Però vedersi costretto a personaggio di romanzo può non piacere. A lui non è piaciuto [...] Ho vissuto una doppia infanzia dorata, a Mosca e quella parigina, e sono state, più che un privilegio, una prova: potevo diventare una canaglia, un emerito stronzo [...] Dopo l’avventura di Metropol capii che solo io potevo salvare mio padre e me stesso. Se non fossi diventato uno scrittore serio la vicenda si sarebbe trasformata in una mostruosa presa in giro. Così è nato il mio primo romanzo, La bella di Mosca [...] È allora, anche, che ho imparato a essere un uomo libero: fummo i primi ribelli a rimanere solidali nonostante le pressioni, i primi dopo i marinai della rivolta di Kronstadt del 1921. E loro erano finiti tutti fucilati [...] Scoprii il marchese De Sade in Francia. In Urss non sapevano chi fosse. Da giovanotto ventenne cercavo pornografia, ma ci trovai tutt’altro. Sade è il primo a mettere in discussione il cristianesimo e l’umanesimo su cui è cresciuta l’Europa: l’idea, cioè, che l’uomo sia buono e sia la società a corromperlo e che, dunque, basti cambiare la società per rendere l’umanità bella come il firmamento. Sade diceva ‘datemi le vostre fanciulle, le sevizierò, perché anche questo è un piacere umano’. Così capii tutto. Da un lato perché l’utopia comunista era folle. E dall’altro perché Stalin traesse energia dal piacere che provava nell’uccidere i suoi oppositori. Per chi lo amava era un buon padre, per chi lo detestava un dittatore. Ma Stalin era un falso dio, in realtà. Questo dice il mio romanzo [...] Ho pianto di gioia quando Gorbaciov - siamo amici stretti - è andato al potere [...]”» (Maria Serena Palieri, “l’Unità” 6/6/2009).